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L'EDITORIALE

Tra un anno e un altro ciò che conta è la nostra umanità

In mezzo a tanti bilanci il nostro desiderio è comprendere fino in fondo che ciò che fa la differenza nelle circostanze della vita siamo noi

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di Federico Pichetto

– Nelle scene finali del film “Sully”, uscito nelle sale italiane tra fine novembre e inizio dicembre, il protagonista della pellicola firmata da Clint Eastwood fa notare al tribunale che lo sta processando un particolare altamente trascurato fino a quel momento: in tutte le circostanze della storia, sia quotidiane che straordinarie, è l’umanità che fa la differenza, è il “fattore umano” che può cambiare tutto.

 

GUARDARE ALL’UOMO

Così, mentre in queste ore ci si affanna a ricordare tutti i momenti luttuosi e terribili del 2016, il nostro pensiero va all’uomo, non all’uomo astratto dei filosofi o delle ricerche sociologiche, ma all’uomo concreto che siamo “tu” ed “io”, che siamo “noi”. E la prima cosa che viene in mente è che – per questo lungo anno – c’è anzitutto da ringraziarci, ringraziarci di averlo attraversato insieme, di esserci fatti compagnia così come siamo stati capaci.

 

LA RESPONSABILITÀ’ DI ESSERE UN DONO

Certo, la nostra specie ha dimostrato, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto possa contribuire con le proprie scelte a distruggere il pianeta in cui viviamo, ma tutto il male che c’è non riesce a spegnere il pensiero positivo – di gratitudine appunto – per il fatto che l’uomo ci sia, che io ci sia, che tu ci sia. Tu sei una cosa bella, importante, unica, e nessun male, nessuna ombra, potrà mai cancellare la realtà che con la tua vita il mondo ha ricevuto un dono.

 

SAPERCI RINGRAZIARE

Ringraziamoci della Presenza, ringraziamoci di “esserci”, al di là delle analisi e dei fatti che si sono succeduti lungo questo periodo di tempo che noi, convenzionalmente, chiamiamo “anno”. Quanto sarebbe utile se tutti, oggi o domani, si prendessero cinque secondi della propria esistenza per dire grazie dentro di sé, per riconoscere la bellezza del nostro esistere e del nostro dimorare sulla terra insieme ad altri uomini e ad altre donne bramosi di vita esattamente come noi. Non è facile, ma accettare di vivere questo tempo, questo nostro presente, e ringraziare, è il primo modo vero per cambiare il mondo.

 

DIVENTARE ATTORI DI SPERANZA

La nostra società non cambia a causa della politica o delle “strategie di mercato”, la nostra società cambia se cambiano le persone che la compongono, se da spettatori di morte sappiamo trasformarci in “attori di speranza”. Il nostro nemico più grande, allora, non è l’errore o il difetto, ma lo scoraggiamento, l’abbattersi per il semplice fatto che niente sembra andare come dovrebbe e per la constatazione che nessuna delle cose che facciamo sembra produrre frutto. In realtà tutta la fatica che facciamo, il dolore che proviamo, non è altro che la strada che la natura – il Mistero della vita – ha stabilito perché il seme sia fecondo, perché la notte generi luce.

 

LA LEGGE DEL SEME

Se il seme non muore, non passa attraverso la notte, rimane solo, rimane quello che è, ma se muore, se accetta di entrare in contatto con il dolore e la fatica, diventa fecondo, cambia il mondo.

 

I NOSTRI AUGURI

Ecco che l’augurio più bello che in questo passaggio di anno sembra importante farci è l’augurio che alcune tradizioni buddhiste formulano durante la cosiddetta “meditazione di metta” in cui si coltiva la gentilezza, la gratitudine e l’amore compassionevole:

“Che tu possa essere felice;

Che tu possa essere al sicuro, libero dalle avversità;

Che tu possa avere la pace nel cuore e nella mente;

Che tu possa essere libero dalla sofferenza fisica e mentale;

Che tu possa avere cura di te stesso con gentilezza e saggezza”

Che ognuno di noi, insomma, possa rimanere umano. Grato del presente che ci è dato, curioso di esplorare l’istante che stiamo vivendo, ricco di speranza e di bene per il tempo meraviglioso della nostra vita.

L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

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1) Ti sparano

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

2) Ti uccidi

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

Però ci si può chiedere: perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

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IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

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La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

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