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Videogiochi: 5 consigli pratici per iniziare a creare il vostro!

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di Andrea Riccardi, videogame developer

– La diffusione dei computer e della tecnologia in generale ha permesso ad alcune professioni di diffondersi e diventare più accessibili da parte di chi voglia intraprendere una determinata strada: questo è sicuramente vero per l’aspirante videogame developer, che rispetto a 10 anni fa ora ha a disposizione tantissima tecnologia di supporto, a volte persino gratuita, per provare a intraprendere questa carriera. Se davvero volete fare dei videogiochi il vostro lavoro, ho raccolto alcuni consigli tratti o da cose che ho sperimentato sulla mia pelle o da veterani del settore.
1] Studiare Il primo punto è sicuramente: studiate! I videogame sono uno dei settori più tecnici che esista. Se anche soltanto uno tra coloro che lavorano al progetto (a volte, nei giochi più grossi, si arriva ad oltre 400 persone) non sa quello che sta facendo, il progetto fallirà miseramente. Che voi siate programmatori, modellatori 3D, audio designer o qualsiasi altra cosa, cercare di essere il più tecnici possibile, a studiare a fondo il vostro campo. Ricordate, la riuscita o il fallimento del vostro progetto dipende da voi!
2] Capire cosa volete fare Nel mondo dei videogiochi esistono decine di figure professionali diverse. Uno dei primi consigli che posso darvi, dunque, è quello di capire esattamente cosa volete fare, e specializzarvi. Programmazione? Modellazione 3D? Animazione? 2D artist? Concept artist? Game designer? Audio designer? La scelta è vostra.
3] Partire in piccolo Tantissimi ragazzi hanno delle idee geniali su giochi di esplorazione con miliardi di dettagli, armi customizzabili e via dicendo. Ora, c’è un motivo se giochi del genere vengono realizzati da studi che contano centinaia di professionisti: sono estremamente difficili da realizzare. Quindi partite in piccolo! Un piccolo platform 2D, un puzzle game estremamente semplice, cose di questo genere: i problemi arriveranno, statene sicuri. Probabilmente il vostro primo progetto farà schifo quanto ha fatto il mio; a quel punto non accanitevi, ma cominciate qualcosa di nuovo, però con l’esperienza accumulata finora. Continuando così, vedrete che nel giro di 5-6 progetti avrete una conoscenza solida, che vi permetterà di entrare nel mondo del lavoro senza problemi.
4] Essere a “T” Uno dei punti fondamentali nell’industria dei videogames, sia che voi lavoriate in un piccolo team autofinanziato o in uno studio da centinaia di persone, è quello di comunicare con gli altri. Essere a “T”, dunque, vuol dire che vi si richiede non solo di essere molto specifici nel vostro campo, ma anche di avere almeno un’idea generale di come funzionano gli altri settori. Essere capaci di comunicare e intendersi quando si discute tra professionisti di settori diversi è una skill assolutamente necessaria e molto apprezzata nel mondo del lavoro.
5] Perseverare L’ultimo punto è forse il più personale. Vi capiterà di voler buttare tutto alle ortiche, perché è difficile, o perché nessuno attorno a voi lo percepisce come un lavoro vero, o perché vi sembrerà che la quantità di cose da tenere in considerazione sia insormontabile. Il consiglio è quindi: perseverate! Trovate qualcuno vicino a voi che voglia fare lo stesso, partecipate a quante più fiere e seminari possibile, perché conoscere persone che vi danno una mano farà la differenza.

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POLITICA E ALIMENTAZIONE/La guerra agli hamburger di soia

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I prodotti a base vegetale stanno riempiendo sempre di più gli scaffali dei supermercati italiani.

Oggi è possibile sostituire i tradizionali prodotti a base di carne con hamburger di soia, salsicce di seitan o polpette vegetali. Il nome “hamburger di soia”, per esempio, può risultare paradossale, ma non in un mondo dove il futuro della carne è vegetale.

9 italiani su 10 sono favorevoli all’utilizzo di termini come questo, che rimandano inevitabilmente al mondo della carne con lo scopo di rendere il consumatore più consapevole del prodotto e promuovono scelte alimentari più salutari e sostenibili. È indubbio che si tratti di marketing, ma è davvero un tema su cui dover discutere?

Per alcuni deputati della Camera, sì.

Una proposta di legge che vuole vietare l’uso di nomi riconducibili alla carne per i prodotti vegetali è stata infatti presentata nella Commissione Agricoltura della Camera. L’obiettivo di questa legge è quello di difendere gli allevamenti e la produzione di carne italiana, che sarebbero svantaggiati dalla concorrenza di scelte alternative. Prodotti come la “bresaola di seitan” o la “bistecca di tofu” potrebbero, secondo i promotori della legge, indurre chi compra a pensare erroneamente che questi alimenti siano esattamente identici alla carne a livello nutrizionale.

Secondo l’organizzazione per i diritti animali “Essere Animali”, l’argomento della legge è fuorviante, perché ci sono differenze nutrizionali anche tra prodotti a base di carni diverse con lo stesso nome. I prodotti che usano questo tipo di termini, inoltre, avvicinano le persone a un’alimentazione più veg, una scelta migliore non solo per la salute ma anche per l’ambiente.

La proposta di legge, infatti, non considera i vantaggi a livello di sostenibilità ambientale che offre l’alimentazione vegetale: un report della Commissione Europea ha dimostrato che il settore zootecnico (una parte del settore primario che consiste nell’allevamento, nell’addomesticamento e nello sfruttamento di animali a fini produttivi) è responsabile per l’81- 86% delle emissioni totali di gas serra nell’agricoltura.

Per questi motivi Essere Animali ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di impegnarsi a bloccare la proposta.

 

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MALASANITÀ/Il dramma del neonato morto al Pertini

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L’otto gennaio di quest’anno, al ospedale Pertini di Roma un neonato è morto soffocato quando la madre che lo stava allattando si addormenta.

Successivamente la procura ha aperto un fascicolo: “omicidio colposo”.

Intanto però la notizia si diffonde, e il padre del neonato racconta al Messaggero di come la donna fosse sfinita e priva di energie dopo ben 17 ore di travaglio.

La moglie aveva più volte chiesto ai responsabili del reparto di portare il neonato al nido del ospedale per poter riposare, anche solo per qualche ora.

Ma il permesso le era sempre stato negato.

Nei giorni successivi il fatto ha scatenato un accesso dibattito riguardante le procedure post-parto degli ospedali.

Infatti, negli ospedali solitamente è previsto il cosiddetto “rooming-in”, ovvero il neonato subito dopo il parto, viene tenuto nella stessa stanza della madre anziché in una camera in comune con altri neonati.

A questa pratica però, dovrebbe essere sempre proposta un alternativa cioè la gestione dei neonati da parte del Asilo del ospedale, fino al termine della permanenza.

Questa seconda opportunità non viene sempre tenuta in considerazione, e centinaia di donne nei giorni scorsi hanno raccontato la loro esperienza denunciando che la possibilità di usufruire del nido ospedaliero sia stata loro  negata.

Le domande che ci si pongono in questi casi sono molteplici: Cosa sarebbe accaduto se questa donna avesse potuto riposare per qualche ora? O anche solo sé qualcuno avesse avuto cura si sorvegliarla e assisterla? La pratica di rooming-in vale per qualsiasi situazione? È  davvero la scelta più adeguata?

Il drammatico evento che ha portato  il decesso del neonato di Roma dovrebbe stimolare le coscienze e una azione diretta delle istituzioni per tutelare maggiormente la salute delle donne dopo il parto.

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DALL'EUROPA

MODA/Un italiano al timone di Luis Vuitton

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Pietro Beccari è il nuovo amministratore delegato e presidente di Louis Vuitton. Un italiano, dunque, guiderà la marca francese di lusso più nota al mondo fondata da Bernard Arnault. Beccari succederà a Michael Burke. Mentre alla guida di Dior andrà Delphine Arnault, figlia primogenita dell’imprenditore attualmente “uomo più ricco del mondo” secondo Forbes. Un cambio ai vertici che era nell’aria e attendeva solo la conferma ufficiale. Questo è forse il primo dei molti i cambiamenti che attendono il mondo della moda per questo 2023, nel management come nelle direzioni creative.

Pietro Beccari, parmense classe 1967, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore marketing di Benckiser (Italia) e Parmalat (Usa), per poi passare alla direzione generale di Henkel in Germania, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione Haircare.

Nel 2006 è entrato in LVMH in qualità di vicepresidente esecutivo marketing e comunicazione per Louis Vuitton, prima di diventare Presidente e ceo di Fendi nel 2012. Da febbraio 2018 è presidente e ceo di Christian Dior Couture, oltre che membro del comitato esecutivo di LVMH.

“Pietro Beccari”, ha commentato Bernard Arnault, fondatore e CEO di LVMH: “ha svolto un lavoro eccezionale in Christian Dior negli ultimi cinque anni. La sua leadership ha accelerato il fascino e il successo di questa iconica Maison. I valori di eleganza di Monsieur Dior e il suo spirito innovativo hanno ricevuto una nuova intensità, supportata da designer di grande talento. La reinvenzione della storica boutique al 30 di Montaigne è emblematica di questo slancio. Sono certo che Pietro condurrà Louis Vuitton a un nuovo livello di successo e di desiderabilità”.

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