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L'EDITORIALE

Alluvione 2014/ Dove sono finiti i fondi?

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A cura della redazione Riflessioni

– L’alluvione del 2014 ha causato ripercussioni nella vita di molte persone a Genova e dintorni: negozi allagati, impianti elettrici e macchinari rovinati. Nonostante l’aiuto dei cittadini, soprattutto ragazzi e giovani, e dei cosiddetti “angeli del fango”, che si sono offerti di dare una mano agli alluvionati per ripulire le strade, ritornare alla normalità è stato difficile per noi Liguri. C’è chi ha ricevuto aiuto a sufficienza e chi, invece, ha dovuto cavarsela e superare o cambiare la situazione con le proprie forze, senza alcun aiuto esterno, come Massimo Pilato, il proprietario della yogurteria “Yogurtlandia” di Chiavari, al quale abbiamo avuto il piacere di porre qualche domanda.

Lei era il proprietario della yogurteria Yogurtlandia, uno dei tanti locali di Chiavari – precisamente di Rupinaro – che furono danneggiati durante l’alluvione del 2014. Che danni ha subito?

“L’alluvione danneggió la pavimentazione in laminato, tutti i frigoriferi, la merce, il registratore di cassa, che avevo tenuto – stupidamente – in basso, le prese di corrente e le pareti. Inoltre si sono staccati dei pannelli in vetro che avevo posizionato sui muri, la porta d’ingresso e altro ancora.”

Cosa è stato promesso ai commercianti riguardo i fondi e cosa avete ricevuto?

“Personalmente non ho ricevuto alcuna promessa nè alcun rimborso perché non ho fatto alcuna domanda: avrei dovuto far fare un preventivo da un ingegnere o simile e  completare dei form.”

Lo scorso gennaio ha lanciato un sondaggio sulla pagina Facebook della sua vecchia Yogurteria: chi avesse avuto il piacere di un’eventuale riapertura avrebbe dovuto solamente mettere un like al post. Possiamo sperare nella apertura di un’altra Yogurteria?

“Sì, potete sperare in una nuova apertura. Se riusciro’ nell’intento sarà di nuovo bellissimo rincontrarci!”

Ci dispiace per quanto accaduto (parlo a nome di tutta redazione) e speriamo che lei riesca ad aprire nuovamente il locale. Ha già in mente dove riaprirlo? Sempre a Chiavari?

“Sì, a Chiavari. Non so quando, né dove di preciso. È un idea che sto maturando. I ragazzi, i miei clienti, mi sono rimasti nel cuore. Inoltre, modestamente parlando, lo yogurt era davvero il più buono del mondo.”

Perché i fondi promessi non arrivano?

Tuttavia, il signore che ci ha concesso l’intervista non è il solo a non aver ricevuto alcun rimborso per mancata richiesta allo stato, ma la stessa situazione si è riproposta, su ben più ampia scala, per quanto riguarda la regione Liguria stessa. Secondo quanto emerso dall’ incontro dei sindaci di Albenga, Giorgio Cangiano, e di Curiale, Ennio Fazio, con i parlamentari Anna Giacobbe e Francesco Vazio, i funzionari del ministero dell’Economia delle finanze e il sottosegretario Paola De Micheli, i soldi del destinare per questa causa sono stati investiti in altro modo.
“Ci hanno detto che i soldi c’erano ma che non essendo stata fatta alcuna domanda di risarcimento da parte della regione Liguria sono stati destinati altrove e che ormai non sono più disponibili” raccontano i sindaci Fazio e Cangiano.

L’italianità regna sovrana anche in ruoli di alta responsabilità

Si assiste purtroppo ad un altro classico episodio tipicamente italiano dello “scaricabarile” in cui tutte le parti chiamate in causa si rimpallano i problemi fino ad arrivare paradossalmente ad ammettere che non è colpa di nessuno!

Notevole inoltre l’impegno profuso dalla minoranza nel fare propaganda elettorale sugli errori altrui, anche se questa volta la svista è molto grave; la Liguria è l’unica regione d’Italia che non può accedere ai fondi stanziati dal governo per far fronte ai danni subiti dall’alluvione… semplicemente incredibile.

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L'EDITORIALE

COCCODRILLI/Maria De Filippi, schermo nero su canale cinque

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Maria De Filippi, la regina della televisione italiana, ha conquistato il cuore degli spettatori italiani per oltre trent’anni. Conosciuta per la sua empatia, la sua determinazione e la sua professionalità, Maria è diventata una delle figure più influenti del panorama televisivo italiano.

La carriera di Maria De Filippi è iniziata alla fine degli anni ’80, quando ha iniziato a lavorare per Mediaset, la più grande emittente televisiva privata italiana. Nel corso degli anni, Maria ha condotto molti programmi di successo, tra cui “Amici di Maria De Filippi”, “Uomini e Donne” e “C’è posta per te”. Grazie al suo talento e alla sua capacità di coinvolgere il pubblico, Maria è diventata un’icona della televisione italiana.

Oltre al suo lavoro in televisione, Maria De Filippi è anche una produttrice di successo. Ha fondato la sua casa di produzione, la Fascino PGT, che ha prodotto molti programmi di successo, tra cui “Amici di Maria De Filippi”, “C’è posta per te” e “Uomini e Donne”. Grazie alla sua esperienza e alla sua creatività, Maria ha contribuito a creare molti programmi di successo, che hanno divertito e coinvolto il pubblico italiano.

Maria De Filippi è anche una donna molto riservata. Non parla spesso della sua vita privata e delle sue relazioni personali. Tuttavia, nel corso degli anni, ha instaurato legami forti con colleghi diventati poi amici. In particolare, con il noto conduttore televisivo Gerry Scotti, che ha collaborato con Maria in molti programmi di successo e con Sabrina Ferilli la sua più grande amica.

In ogni caso, Maria De Filippi rimarrà per sempre una delle figure più amate e rispettate della televisione italiana. Grazie al suo talento, alla sua determinazione e alla sua capacità di coinvolgere il pubblico, Maria ha creato un legame speciale con gli spettatori italiani. Anche dopo la morte di suo marito, Maurizio Costanzo, Maria è sempre riuscita a mantenere la sua dignità e il suo rispetto, dimostrando di essere una persona di grande integrità e professionalità, continuando, a testa alta, il suo lavoro fino a pochi giorni fa.
Con quanto dolore riusciremo a passare su canale cinque senza pensare a lei…

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L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

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O ti sparano…

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

 

O ti uccidi?

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

 

Ma perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

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L'EDITORIALE

IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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