Mireille Knoll/Abbiamo imparato qualcosa dalla Shoah?

di Luca

– Mireille Knoll, estate 1942, Parigi. Bandiere naziste, rastrellamento di ebrei, più di 13 mila catturati, solo qualche decina ritornò. Mireille riuscì a fuggire in Portogallo grazie ad un passaporto brasiliano.

Non è riuscita, però, venerdì 23 marzo 2018 a fuggire alla morte.

Il caso:

A ottantacinque anni, nella casa popolare dove viveva, è stata pugnalata undici volte e poi cercata di bruciare.
I parenti sono subito arrivati da Israele e hanno raccontato che, a guerra finita, si era innamorata di un giovane sopravvissuto ad Auschwitz, col quale si era poi sposata.
La Procura ha già fermato due persone per assassinio con movente antisemita: un vicino musulmano e un amico del giovane. Anche se l’inchiesta ha da poco avuto inizio, è già emerso che la donna aveva denunciato alcuni vicini per averla minacciata di bruciarla viva.

Ma perché prendersela tanto con Mirielle solo per il fatto che era ebrea?

Forse le cause vanno un po’ oltre il fatto di voler scaricare le colpe su tutta la comunità semita, motivazione adottata al termine della guerra per spiegare gli orrori. Ora non siamo in guerra.
Appare per questo evidente che la causa sia un’altra: forse la spiegazione è che non abbiamo ancora debellato del tutto l’idea secondo cui gli ebrei sono “diversi” da noi. Lo stesso discorso, allora, si potrebbe fare nei confronti degli immigrati.

La domanda sorge quindi spontanea:

Serve davvero a qualcosa ricordare gli orrori della Shoah un giorno all’anno, se poi gli altri 364 affianchiamo alla parola “ebreo” gli aggettivi “strano” e “diverso”? La risposta è no. Non serve. Riuscire a debellare questo luogo comune è un bel proposito, difficile però da realizzare: troppi sono i condizionamenti che, anche involontariamente, ci portano a pensare “ebreo = diverso”.

Forse una causa è dettata anche dal fatto che gli ebrei si sono sempre tenuti un po’ in disparte, a differenza di altre religioni che sono più aperte e che maggiormente intervengono nella vita sociale di ogni giorno.
Forse, invece, siamo noi che tentiamo di bloccare con ogni mezzo i loro sbocchi sulla vita.

Potremmo continuare per ore e ore a fare ipotesi e a porci domande che inevitabilmente ne creerebbero altre: non risolveremmo però il problema.