Non resta che voltare pagina.

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-Di Francesco Selmi

1 giugno 2016: ai più questa sarà sembrata un’anonima, stranamente piovosa ma comune giornata di inizio estate; essa non corrisponde infatti a nessun anniversario storico o festività degna del colore rosso sul calendario, eppure, per molti ragazzi, essa rimarrà, anche se per un buon numero inconsapevolmente, la data segnante la conclusione della stesura di un unico e fondamentale capitolo della loro vita; il suo titolo, se non si fosse già capito, è “scuola”.

Anche chi scrive è parte integrante di quel gruppo di giovani e non può far altro che ricordare con sentimento, quasi di commozione, quella fatidica data, l’ultimo rintocco della campanella, amica fedele e a volte ancora di salvezza davanti alle incombenze scolastiche quotidiane negli ultimi tredici anni, l’ultimo saluto al bidello, l’ultima fotografica immagine della propria aula e del proprio banco: tutti elementi di una rassicurante monotonia che quel giorno ha bruscamente sgretolato e che non torneranno più. Certo, sarebbe difficile ed inverosimile non palesare la legittima gioia e senso di liberazione che l’ultimo giorno di scuola della vita di un giovane liceale ha provocato, entrambe le situazioni sono difatti elementi imprescindibilmente fissi nella memoria di chi si trova a vivere, ognuno a suo modo, quella giornata; tuttavia ogni studente di quinta, che riesca a mente fredda ad andare oltre la superficialità della legittima e meritata euforia del momento, avrà sentito su di se, improvvisamente, una grande ed impellente incombenza, un senso di stare, anche non troppo lentamente, lasciando quel mondo, l’adolescenza, così ricco di spensieratezza, conquiste, ricordi, dolori. Un mondo non da mettere da parte, poiché esso rappresenta il capitolo introduttivo, più determinante e memorabile del libro della nostra vita, un libro che è ancora tutto da scrivere, ma che ripone qui le sue, si spera solide, basi. Le sensazioni di stare davvero per diventare “grandi”, di essere sul punto di calpestare un nuovo gradino nel nostro percorso e di avvicinarsi a una pagina ancora per poco vuota, non possono far altro che far interrogare, anche i soggetti più sicuri di se, sul proprio futuro: esso, nel bene o nel male, rappresenta un oceano ignoto e sterminato che può diventare per certi versi tediante o ossessivo, basti pensare a tutte le volte che, anche inconsciamente, le persone concepiscono progetti in cui danno tutti se stessi (cosa che se regolata è altamente apprezzabile) programmando minuziosamente il loro avvenire, tralasciando la vera vita rappresentata dal presente. Pensandoci attentamente questo è un tema che imperversa da sempre nel romanzo di ogni uomo e che prende corpo definitivamente proprio al suono della fatidica ultima campanella, e anche chi scrive, c’è da dire, non si è sentito esente da ciò. Ecco, prima che la nuova e misteriosa vita abbia inizio, che quasi mezzo milione di giovani italiani lasci il porto e inizi a scrivere il nuovo capitolo, vi è tuttavia ancora un ultimo e piccolo, si potrebbe dire, scoglio da superare, l’Esame di maturità, così tanto sognato e temuto, per poi immergersi in un’immensità in cui è dolce naufragare e da cui non si ci può sottrarre.

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