Se drogarsi è rinunciare a se stessi

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di Claudia Demontis

– Errori, scelte influenzate e rimpianti: sono tutte caratteristiche di una vita lasciata correre, con nessuno che prendesse il comando e la indirizzasse per il verso giusto.

Christiane F (alias Christiane Vera Felscherinow), autrice del libro «Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino» ha vissuto una vita spericolata, senza dubbio una di quelle che superò ogni limite già alla giovanissima età di 13 anni. Christiane ha vissuto una vita incentrata sulla droga e da ciò derivano le sue esperienze e le sue scelte. La prostituzione, le bugie, la morte e le malattie sono tutte conseguenze della sua dipendenza da sostanze stupefacenti, condizione che la ragazzina ormai cinquantenne deve affrontare ogni giorno da quella serata in discoteca quando prese il suo primo acido. Christiane sa che ha perso molto nella vita ed, ancora di più, è consapevole di quanto perderà ancora: troppi fallimenti e poche vittorie da sopportare per una ragazza così giovane di Berlino Est, abbandonata in un mondo decisamente troppo grande e pericoloso. Una realtà dove l’individuo diventa ciò che il gruppo e gli amici lo incoraggiano a fare, anche se, nel profondo, ognuno desidera solamente tornare a quei rassicuranti e familiari prati verdi dell’infanzia, quando c’era ancora qualcuno che incoraggiasse a credere in se stessi. Christiane non è riuscita ad uscire dal tunnel della droga: la donna afferma che il successo le ha soltanto creato la possibilità di procurarsi “la roba” senza aver alcuna difficoltà. La verità è che chi ha sempre perso non riesce più a riconoscere la possibilità che un giorno potrebbe vincere: chi si è sentito abbandonato e solo si sentirà sempre tale, anche in un piazza affollata o circondato da amici. Quando manca la libertà, o quando ne abbiamo troppa perdiamo noi stessi. Abbiamo bisogno di libertà di volere, capire che ci meritiamo qualcosa di bello, che desideriamo rischiare ancora, vogliamo essere amati, essere protetti, essere degni di vivere. La droga non è uno sballo, non è un’evasione momentanea dai nostri problemi e dalle nostre vite, è soltanto una prigione che ci rinchiude dietro ad una facciata che già esiste: aggiunge strati di paure, insicurezze, dolore e solitudine che segnano a vita la nostra strada. «Non avremo più voglia di tirarci su.» dice Christiane alla fine del suo primo libro. A un certo punto non vorremmo più salvarci o essere salvati, credendo di meritare solamente il dolore di aver perso noi stessi per qualcosa di così futile, di essere diventati “droga” e non avere più un nome o una personalità, di desiderare di morire quando in realtà siamo già morti: drogarsi vuol dire fallire, perdere ogni speranza e rinunciare a se stessi.

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