#Sharingstorie/Lettera ad un padre che è partito per un lungo viaggio

Nicolò, 25 anni, perde il padre dopo una lunga malattia. Gli scrive una lettera aperta che legge al suo funerale. Sharing la trova, rimane colpito. E chiede a Nicolò di poterla far leggere a tutti. Lui, un po’ sorpreso, ci ha detto di sì. E noi adesso ve la regaliamo.

Ciao papà,

è tanto che penso a questa lettera e alle cose che vorrei dirti. Non sono cose nuove, ma da quando sei ammalato sento che sono le cose che penso e che ti devo.

Tu per me, lo sai, sei sempre stato più di un papà e adesso il vuoto che ho dentro è difficile da descrivere. Ho sempre saputo che a salutarti sarebbero stati in tanti. Per tanto tempo mi ha colpito come i miei amici non venissero a trovarti per me, per il bene a me, ma perché tu con tutti sapevi creare un rapporto, un’amicizia, una cordialità.

Non sai per quanto tempo tutto questo mi ha fatto un po’ rodere di invidia finché, ad un certo punto, è stato chiaro che sbagliavo. Perché mi sono reso conto che uno che è padre -padre sul serio- diventa padre di tanti e non è mai proprietà di nessuno. Allo stesso modo capisco che anch’io – grazie a te – adesso non sono orfano ma sono diventato figlio di molti, figlio di coloro che hai guardato e che mi hai insegnato a seguire. Oggi la cosa che mi rende più orgoglioso è quella di trovarmi -quando meno me l’aspetto- con i tuoi occhi addosso, col tuo sguardo nel mio sguardo. Questo per me è cominciare ad essere tuo erede, è cominciare a respirare la tua aria, il tuo stesso modo di volere bene e di fare. Eppure essere tuo figlio non è stato sempre semplice: fin da piccolo non c’era altro che il Milan per me. E hai fatto del Milan quasi una condizione per restare in casa. Io adesso capisco che con questa tua “fissa” non solo volevi dirmi che nella vita non si può stare senza avere una passione, ma che per me la famiglia doveva essere qualcosa di più grande di quello che vedevo, di vivo, di vero. Non credo sia un caso che io oggi lavori proprio al Milan e che quella sia la mia nuova famiglia. Se non si appartiene, si resta soli e arrabbiati davanti alla vita. E tu sei stato maestro nell’appartenere: la tua capacità di fidarti e di “vedere il bene” spiazzava tutti; il modo con cui eri contento di andare in ospedale, la festa con cui accoglievi i tuoi medici, la semplicità con cui ti lasciavi curare dagli amici, la profondità con cui scherzavi o ponevi le tue domande, tutto per me è stato un insegnamento. E adesso, che ti devo salutare, non posso non ricordare tre cose che mi hanno davvero segnato per sempre: tu non eri banale, tu quando vedevi qualcosa che valeva lo facevi notare, me lo dicevi e mi lasciavi senza parole. Con tanti che oggi sono qui lo hai fatto e hai impressionato tutti. Avere un tuo apprezzamento era difficile, ma quando arrivava era vero, era pieno di gratitudine, era dato col cuore. Non posso dimenticare quando tu, malato, dicevi a me – bocciato o disilluso – che la vita è bella e che vale sempre la pena viverla. Ce lo hai detto anche negli ultimi giorni quando, pieni di lacrime, al termine di una notte per noi insonne, ti sei svegliato dal coma e ci hai consolato, riaprendo il nostro cuore alla Grazia e alla Speranza. Sembrava di vedere Milan – Ajax nella Champions del 2003, con Inzaghi che all’ultimo arriva e fa goal. Anche tu all’ultimo sei arrivato e hai fatto goal. E, come quella volta, mi hai abbracciato esultando. Hai abbracciato me e la donna della tua vita, la mamma. Vedi papà: anche stavolta abbiamo vinto, anche stavolta abbiamo fatto goal. E adesso che abbiamo conquistato la Champions più importante sono qui a dirti che alla mamma ci penso io, che il vostro bene è al sicuro, che alla fine contro il male abbiamo vinto noi.

Sabato ci sono i ragazzi, papà, e dal cielo ci sarà il loro grande Mister a tifare per loro, quell’uomo che io – come molti altri – ho avuto l’onore di chiamare “Padre”.

Nicolò

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