Imparare per noi stessi

Grazie ad un accordo tra il mio istituto e l’Università di Ingegneria di Pavia, a me e ad un mio compagno di classe, è stata data la possibilità di fare uno stage presso l’università.

E così per due settimane dello scorso giugno ho frequentato le lezioni di Ingegneria.

Mi sono immersa nella vita dell’universitario: potevo scegliere il mio (breve) piano di studi, ho sperimentato il famoso “quarto d’ora accademico” e persino la serata universitaria del mercoledì.

Un cambiamento non da poco, e la grandissima opportunità di poterlo vivere con largo anticipo, per aiutarmi meglio nella mia scelta che dovrò fare questo settembre.

La routine era piacevole: al mattino andavo in bicicletta in università, come molti lavoratori e studenti del luogo, e partecipavo alle lezioni fino al pomeriggio. Ho assistito a interessantissime conferenze sulle nuove biotecnologie, tenute da ragazzi giovanissimi e brillanti. Ho persino imparato a saldare e a montare un piccolo circuito, durante le ore di ingegneria elettrica.

Durante tutto il periodo dello stage ho soggiornato, insieme al mio compagno, in un appartamento. Avevamo quindi una grande autonomia, ma anche una grande responsabilità.

Per due settimane sono stata gettata nel mondo dei grandi. Non avevo alcun riferimento, potevo contare solo su di me. Ho dovuto provvedere a me stessa, senza che ci pensassero mamma e papà.

Ma la cosa che più mi ha colpito, è che ho scoperto quanto mi piaccia studiare. La scuola ci viene imposta come un obbligo. Fin da bambini non vogliamo andare a scuola, non vogliamo fare i compiti. Se qualche ragazzo dimostra di divertirsi a studiare, viene subito preso in giro: “Secchia! Secchia!”.

Questa imposizione ci pesa sempre più, quando cresciamo, abbiamo 18 anni e dobbiamo ancora andare a scuola: una scuola che magari anni prima ci hanno imposto i genitori e a noi non piace affatto. Inoltre non siamo invogliati ad apprendere, spesso i genitori, gli insegnanti, e persino noi stessi, ci concentriamo solo sul voto. L’importante è avere la media alta: se vai bene a scuola, vuol dire che sei intelligente, altrimenti sei poco brillante. Con l’università non siamo più obbligati, possiamo scegliere noi, possiamo interessarci, cercare, e capiamo che la scuola non è solo “sperare in un 6”, ma è un modo per affermarci, per soddisfare le nostre curiosità, per scoprire cose nuove e metterci in gioco. Non dico che questo faccia per tutti, non credo che bisogna per forza fare l’università, proprio perché non è più un’imposizione, se studiare non fa per noi, buttiamoci su altro, l’importante è che qualsiasi cosa scegliamo, lo facciamo impegnandoci.

A Pavia ho potuto capire (con largo anticipo) che l’Ingegneria non fa per me: il loro linguaggio matematico e fisico non è il mio. Ma di sicuro, ho realizzato che voglio continuare, o quasi, “cominciare” a studiare e da grande vorrei insegnare: insegnare a capire cosa ci piace, che la cultura non è da sfigati, a imparare per noi stessi non per il voto, ad amare la conoscenza (senza che siano tutti Einstein, ognuno a modo suo), ad incoraggiare chi ha voglia di fare. Almeno spero di riuscirci.

 

Imparare per noi stessi

DIARIO SCOZZESE/ Due mesi dopo