Rio 2016 – Il doping non è sport

Di Laetitia e Fabrizio •  C’è grande attesa per la cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016 che verrà trasmessa in diretta questa notte a partire dalle 00:20 su Rai 2.

Gli atleti rappresentanti delle 207 nazioni partecipanti sfileranno per le strade della città, ognuno con la propria bandiera. Per l’Italia ci sarà Federica Pellegrini.

Nonostante le contestazioni che hanno scosso il Paese, l’entusiasmo per questo grande evento va crescendo in attesa della cerimonia organizzata dall’architetto italiano Marco Balich, ideatore anche dell’albero della vita dell’Expo Milano 2015 e architetto dello Juventus Stadium.

Queste settimane precedenti le Olimpiadi sono state segnate dallo scandalo doping che ha investito gli atleti russi (ma non solo). Si è parlato di doping di stato con toni che richiamano gli scenari a cui si assisteva negli anni ’80 quando l’assunzione di sostanze dopanti non era controllata come oggi e alcuni Paesi (come la Germania Est) le somministravano agli atleti a loro insaputa.

Un caso sconosciuto ai più è quello di Heidi Krieger, un’atleta della RDT, che praticava il lancio del peso. A causa delle sostanze dopanti contenenti ormoni maschili, che inconsapevolmente assumeva, il suo aspetto, a partire dai 18 anni, si fece sempre più mascolino e la sua voce divenne sempre più profonda. Tutto questo la portò, nel 1997, a sottoporsi ad un intervento di cambio di sesso, prendendo il nome di Andreas. Durante la sua carriera ha conquistato una medaglia d’oro nel lancio del peso femminile ai Campionati Europei di atletica leggera, due argenti e un bronzo ai Campionati Europei Indoor e due ori ai Campionati Juniores.

L’atleta tedesca Heidi Krieger, vittima del doping di stato della Germania Est.

Lo sport dovrebbe portare beneficio al fisico, non portare all’assunzione di sostanze che, pur migliorando le prestazioni, lo danneggiano. Queste pratiche non sarebbero così diffuse se nel mondo dello sport non circolassero enormi somme di denaro. Questo trasforma lo sport in interesse economico e quindi non giova alla sana competizione e alla sportività nel suo significato più vero.

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