Siamo predestinati?

Come si fa a fare una scelta essendo sicuri al mille per mille che sia quella giusta?

Il filosofo Kierkegaard vedeva la scelta come “scelgo di non…”: se prendo una via è perché ne ho escluse altre, e in un modo o nell’altro ne risulta un profondo senso di angoscia. Per motivare la presenza del male e spiegare il libero arbitrio, Leibnitz diceva che Dio ha permesso l’esistenza del male per far scegliere, o meno, all’uomo di commetterlo. Quindi l’uomo sceglie; ma quando lo fa per lo più sbaglia, commette un peccato, si unisce al lato oscuro della forza.

Partendo da questo presupposto al quanto negativo, ho dovuto affrontare la mia scelta, quella dell’università: che implica di conseguenza quale tipo di vita vorrei, che persona voglio essere fra trent’anni; nonostante ci sia sempre la possibilità di cambiare in corso d’opera, non vorrei che questa diventasse una scusa per rimandare e non decidere con attenzione e razionalità. Perché è cosi che si sceglie, no? Facendo una lista dei pro e dei contro, analizzando costi e benefici. Facciamo tutti questi sforzi, ci struggiamo per non commettere errori, ma Kierkegaard e Leibnitz (e non solo loro) non ce la fanno passare liscia: finiamo sempre per sbagliare.

Tornando a me, ho partecipato, fin dall’anno scorso, a un notevole numero di open day, in quasi tutte le città del nord Italia e pressappoco di ogni facoltà che potesse garantirmi un buon posto di lavoro, convinta che fosse la cosa giusta da fare (Medicina, Ingegneria, Chimica). Morale della favola: ero più confusa di prima, disperata perché profondamente convinta di non riuscire a trovare la mia strada, assolutamente disorientata.

Tutto ciò fino all’inizio del quinto anno di liceo, quando una serie di coincidenze mi ha fatto cambiare punto di vista. Nei primi giorni di settembre il nostro liceo organizza la settimana S.A.R.Ò. (Settimana dell’Alternanza Realmente Orientativa) offrendoci un’alternativa ad un’esperienza scuola-lavoro in un’azienda, rimanendo ugualmente a contatto con il mondo del lavoro. Si tratta, infatti, di sostituire le ore di lezione ordinarie con conferenze tenute da professori universitari, liberi professionisti ed ex alunni, che si confrontano con noi ragazzi, dandoci un assaggio di quello che è il mondo dopo il liceo, raccontandoci la loro esperienza e soddisfacendo i nostri dubbi o curiosità.

È proprio durante una di queste mattinate, che ho capito cosa avrei dovuto fare. Il merito è di una studentessa al terzo anno di filosofia all’Università di Genova. Parlando di sé, diceva di essersi iscritta a Filosofia poco prima dell’inizio delle lezioni, dopo un’estate passata a fare quiz su Alpha Test per entrare a Medicina. Erano stati i parenti a convincerla a studiare per diventare un chirurgo, così avrebbe trovato un buon lavoro. La ragazza, però, capisce che quello non fa per lei, che se vuole essere felice deve seguire il suo cuore, deve scegliere Filosofia, e così fa, convinta che “dentro di noi sappiamo già quello che dobbiamo fare, è come se ci fosse una strada e noi dovessimo soltanto imparare a guardarci dentro e a seguirla”.

Poco prima di questo incontro avevo finito di leggere “Il codice dell’anima” di James Hillman, che sostiene l’esistenza di un “daimon” (che ritorna in tutte le tradizioni: il “genius” per i latini, l’angelo custode per i cristiani), che ci guida nel nostro cammino terreno, diverso per ognuno di noi, ci aiuta a trovare la nostra vocazione, come un “compagno segreto”. Quasi come il daimon nel film “La bussola d’oro”, che era un animale, che soffriva se il padrone soffriva, era come uno sdoppiamento della sua anima.

Siamo quindi predestinati? Esiste il destino? Manzoni parlava di Provvidenza, della Grazia di Dio che è in ognuno di noi, ma spetta a noi accorgercene e sentirla; Lucia ci riesce, la monaca di Monza no. Agostino scrutando dentro se stesso, trovava il riflesso di Dio.

Dopo ciò mi sono convinta che “seguire il cuore” non sia sbagliato, non sia da spregiudicati. Non tutte le cose si possono controllare razionalmente, e anche se ci si prova, non abbiamo la certezza che tutto andrà secondo i piani. Non credo nella predestinazione né nella Provvidenza, credo però che siamo nati con certi talenti, con una vocazione, con qualcosa dentro che, se seguito, ci rende felici e soddisfatti di noi. Quindi guardiamo dentro di noi, seguiamo il nostro cuore e non solo il cervello. Perché solo così potremmo aderire alla nostra via, che è quella della realizzazione del nostro sogno, della nostra vocazione, di ciò che siamo. Non è un incitamento a buttarsi nelle cose senza considerare le conseguenze, in via del tutto irrazionale e superficiale, ma piuttosto una spassionata fiducia nel fatto che ascoltando il nostro daimon potremo essere felici, realizzati e potremo dare molto a noi stessi e a chi ci sta intorno. Perché forse la vita un senso non ce l’ha, ma tutti noi abbiamo cercato di dargliene fin dall’inizio dei tempi, per giustificare tutte le cose brutte che capitano, per alzarci la mattina con un obiettivo. Il senso lo diamo noi, noi scegliamo e non dobbiamo esserne terrorizzati, perché solo nella scelta abbiamo la possibilità, non di compiere il male, ma di decidere come vivere e con chi vivere, se essere importanti, per chi esserlo e come esserlo.

Io, alla fine, ho scelto Lettere.

 

Solidarietà in famiglia