Siamo realmente liberi di scegliere il nostro futuro?

di Maria Elena Cassinelli

– Esistere significa “poter scegliere”; anzi, essere possibilità. Ma ciò non costituisce la ricchezza, bensì la miseria dell’uomo. La sua libertà di scelta non rappresenta la sua grandezza, ma il suo permanente dramma. Infatti egli si trova sempre di fronte all’alternativa di una “possibilità che sì” e di una “possibilità che no” senza possedere alcun criterio di scelta. E brancola nel buio, in una posizione instabile, nella permanente indecisione, senza riuscire ad orientare la propria vita, intenzionalmente, in un senso o nell’altro.

(Soren Kierkegaard)

È interessante osservare come le parole che solitamente risultano più semplici da memorizzare durante l’apprendimento di una nuova lingua, ovvero gli avverbi di negazione “sì” e “no”, siano anche le più difficili da utilizzare. Talvolta, infatti, è necessaria una sola sillaba per stravolgere completamente la vita di una persona. Ogni scelta comporta un rischio e ogni decisione una rinuncia, con la consapevolezza che non sarà possibile tronare indietro.

Eppure, senza la libertà di scegliere, la nostra esistenza stessa perderebbe significato, poiché sono proprio le decisioni che compiamo giorno per giorno che ci formano e ci aiutano a capire chi siamo realmente.

Con l’approssimarsi dell’esame di Stato, in particolare, mi trovo dinnanzi ad un bivio dal quale potrebbe dipendere il mio futuro: iscrivermi alla facoltà di Lettere Antiche, oppure a quella di Legge. Sebbene desideri da molti anni di entrare a far parte delle forze dell’ordine, l’amore quasi riverenziale (ossessivo-compulsivo) che provo nei confronti di qualunque forma di scrittura adoperata nell’antichità ed i “velati consigli” del mio istruttore di Karate e del mio parroco, che non nutrono una particolare fiducia nei confronti delle forze dell’ordine, mi spingerebbero ad optare per la seconda. L’importanza di tale decisione è determinata anche dal fatto che, nel caso specifico, non si tratta solo di scegliere tra due facoltà o occupazioni, ma anche tra stili di vita completamente differenti. La prima opzione mi consentirebbe di continuare a vivere nella stessa città e conservare buona parte delle mie vecchie abitudini, cosa che, invece, risulterebbe impossibile con la seconda. Se da una parte rischio di negarmi l’opportunità di vivere quelle “avventure” che ho sempre sognato e di offrire un aiuto concreto alla società, dall’altra dovrei abbandonare definitivamente i miei sogni puerili di condurre una vita “normale”.

Ho come il vago sospetto, tuttavia, che l’idea di avere ancora la possibilità di decidere sia solo una mera illusione. Quella bambina ingenua che attendeva il “principe azzurro” affacciata alla finestra, sognando che la caserma di fronte, avvolta dalla grigia nebbia della Pianura Padana, si trasformasse in un prato fiorito, ormai non è altro che l’ombra di ciò che avrei potuto diventare. Ho scelto di voltarle le spalle quando ho finalmente compreso che l’indifferenza alle violenze perpetrate nei confronti dei più deboli non era un’alternativa accettabile, sono diventata io stessa vittima di bullismo a causa di questa decisione e mi sono resa conto del fatto che impiegare il proprio tempo con corsi di autodifesa era certamente meglio di attendere invano un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Sebbene l’immagine di ciò che avrei potuto diventare continui a procurarmi una certa dose di nostalgia, sono certa che non mi sarebbe più possibile rimanere in disparte, se testimone di un’ingiustizia o di un atto di violenza. Le piccole scelte che compio ogni giorno sono la prova tangibile del mio cambiamento e rendono più salda la mia decisione di entrare a far parte delle forze dell’ordine.

Ho maturato quest’idea nel corso di cinque anni e, a tal proposito, le numerose opportunità formative offerte dalla nostra scuola sono state fondamentali. In particolare, le due settimane dedicate al progetto di alternanza scuola lavoro S.A.R.O’, tenutesi rispettivamente nell’ottobre del 2017 e nel settembre del 2018, mi hanno permesso di fare chiarezza. Tuttavia, la testimonianza che mi ha definitivamente indirizzato verso questa strada è stata quella di un membro dei carabinieri di Santa Margherita Ligure, che ha tenuto una conferenza presso la nostra scuola. Sono stata piacevolmente colpita dal fatto che abbia deciso di compiere il suo dovere, perquisendo la casa di un ex compagno di classe, pur essendo consapevole del fatto che si sarebbe attirato il biasimo di amici e conoscenti. Si sente parlare spesso di episodi di corruzione legati ai membri delle forze dell’ordine, mentre le storie di chi ha realmente compiuto il suo dovere, nella maggior parte dei casi, sono destinate a non essere conosciute.

Mi sono resa, quindi, conto del fatto che per poter compiere efficacemente la mia piccola “missione” necessitavo dell’appoggio di una struttura solida, che facesse capo alla giustizia stessa. Ho, dunque, preso una decisione “sconvolgente”, ovvero fidarmi delle istituzioni del nostro stato e, in particolare delle forze dell’ordine. Prima che lo studio mi sottraesse anche il tempo vitale, infatti, ho svolto anche qualche piccola collaborazione con un poliziotto rapallino che agiva spesso in borghese, sfruttando la posizione “privilegiata” del mio quartiere, spesso frequentato da minorenni che fanno uso e vendono sostanze stupefacenti.

Per riuscire nell’intento mi sto allenando giorno per giorno ad affrontare e, soprattutto, accettare i miei limiti e le mie paure. Per quanto concerne la mia esperienza personale, in particolare, la seconda azione ha richiesto ben più sforzo e preparazione rispetto alla prima. Vincere le proprie fobie nei momenti di pericolo, infatti, è incredibilmente semplice, specie se in quel determinato frangente affrontarle risulta essere l’unico modo per salvare altre persone. Talvolta, tuttavia, sconfiggerne alcune non è sempre possibile, ed è proprio questo l’aspetto che ho avuto più difficoltà ad accettare. In questo senso l’aiuto di mio padre è stato fondamentale. L’ “epifania” è stata la rivelazione sconvolgente che, sebbene fosse solito salire sui tetti o su impalcature molto alte per eseguire lavori di manutenzione, soffriva terribilmente di vertigini. Mi ha aiutata a capire che non è tanto importante il numero di paure che attanagliano una persona, quanto la sua capacità di agire in caso di necessità, senza lasciarsi frenare dalle stesse.

Ho fatto notevoli progressi anche per quanto riguarda le situazioni in cui la paura è suscitata da una persona concreta. Se prima, non appena avevo il sentore che qualche ladro fosse entrato in casa, mi affrettavo a cercare di corromperlo con torte e altre pietanze, sperando che se ne andasse, ora utilizzo l’attrezzatura culinaria senza troppe remore, per metterli in fuga. Non mi spaventa più l’idea di colpire (con moderazione) chi minaccia ciò a cui tengo, specie se l’ignaro borseggiatore osa “attentare” alla vita dei miei amati cannoli alla crema. Neppure la timidezza ed il timore del giudizio altrui che mi hanno sempre contraddistinto mi impediscono più di schierarmi a difesa di una persona o di un ideale. Non mi limito solo a rimproverare le mie amiche quando decidono di non acquistare i biglietti per i mezzi pubblici, ma anche i ragazzini di quattordici anni che si “dilettano” a fare uso di sostanze stupefacenti alle tre e mezza del mattino davanti a casa mia.

Al momento il mio unico desiderio è quello di poter diventare un punto di riferimento per gli altri, una figura a cui rivolgersi nei momenti difficoltà. Vorrei che le persone riuscissero a ricominciare a fidarsi della giustizia, così come ho fatto io. Se in caso di pericolo l’istinto dei cittadini italiani continua ad essere quello di rivolgersi ai propri parenti e conoscenti, anziché chiamare subito i numeri di emergenza, come possiamo pensare di risolvere concretamente le problematiche del nostro Paese? Mi rendo conto che raggiungere tale obbiettivo non sarà affatto semplice, ma del resto quale sogno non lo è?

The future belongs to those who believe in the beauty of their dreams.

(Eleanor Roosevelt)

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