STORIA/Violet Gibson e lo sparo a Mussolini
Violet Albina Gibson, figlia di Edward Gibson, primo Barone di Ashbourne e Lord Cancelliere d’Irlanda, è stata la donna che il 7 aprile 1926 attentò alla vita di Benito Mussolini a Roma.
L’ATTENTATO
Mussolini era appena uscito dal palazzo del Campidoglio, dove aveva inaugurato un congresso di chirurgia, quando la Gibson gli sparò un colpo di pistola, ferendolo di striscio al naso. Secondo Arrigo Petacco e altri studiosi, a salvarlo sarebbe stato un saluto romano che porgeva proprio nel momento dello sparo: tirando indietro il capo irrigidendosi come sua abitudine nel saluto, avrebbe inconsapevolmente portato la testa fuori traiettoria.
LE CONSEGUENZE
La Gibson, faticosamente sottratta a un tentativo di linciaggio, fu condotta in questura; interrogata, non rivelò la ragione dell’attentato. Romano Mussolini, figlio del Duce, ebbe a raccontare che il padre, subito soccorso da decine di chirurghi che erano appunto sul posto per il congresso, disse di essersi preoccupato davvero soltanto quando vide questi avvicinarsi.
L’attentatrice venne assolta in istruttoria dal Tribunale speciale per totale infermità di mente e successivamente espulsa dall’Italia verso l’Inghilterra. Rimase per trent’anni ricoverata in una clinica psichiatrica, il St Andrew’s Hospital a Northampton, ove morì.
DOPO L’EVENTO
Si è supposto che la donna, allora cinquantenne, fosse mentalmente squilibrata all’epoca dei fatti e che potesse essere stata indotta a commettere il gesto da qualche istigatore sconosciuto. A tal fine il giovane funzionario di polizia Guido Leto fu inviato a Dublino per raccogliere informazioni in maniera discreta. A Dublino, Leto conobbe la governante della Gibson, la signorina Mc Grath, la quale rivelò come pure in passato la donna era stata soggetta a brusche crisi nervose e che qualche anno prima aveva improvvisamente aggredito un’amica con un temperino custodito nella borsetta. La Mc Grath in seguito venne a Roma per testimoniare sullo stato di salute della Gibson. Furono inoltre sollevati pesanti sospetti all’indirizzo di Giovanni Antonio Colonna di Cesarò.
Il giorno dopo l’attentato, Mussolini compì un viaggio in Libia e si mostrò a Tripoli con un vistoso cerotto sul naso, come testimoniano le foto dell’epoca.