VIVERE NELLA LEGALITA’/Incontro con i testimoni del nostro tempo: Pietro Grasso

Per l’ultimo incontro previsto dal progetto “Vivere nella legalità: incontro con i testimoni del nostro tempo” abbiamo avuto l’onore e l’occasione di intervistare un magistrato che attraverso il suo lavoro, ha contribuito in modo diretto alla lotta contro la criminalità organizzata.
Egli continua a contrastare la Mafia incontrando i giovani, condividendo con le nuove generazioni le battaglie, condotte da lui e dai suoi colleghi e amici il giudice Falcone e il giudice Borsellino, con lo scopo di formare dei cittadini che agiscano nella legalità.

Chi è Pietro Grasso ?

“In uno di quei temi – Che cosa farai da grande- avevo già scritto che volevo fare il magistrato”. In questo modo Pietro Grasso inizia a rispondere alle domande della nostra intervista. Perché Pietro Grasso è soprattutto un magistrato che ha sempre avuto la vocazione di esserlo. Diplomatosi al liceo classico Giovanni Meli di Palermo all’età di 17 anni, bruciò anche i tempi all’università di Palermo laureandosi a soli 21 anni. Finito il periodo universitario, ci spiega il dottor Grasso, intraprende immediatamente il cursus honorum e a 24 anni diviene magistrato. Del suo lavoro in particolare il dottor Grasso racconta i 20 mesi passati ad istruire il maxi processo: è stato un periodo molto duro nel quale non solo dovette lavorare giorno e notte per studiare le “carte” del processo, ma subì pesanti minacce e cominciò ad essere messo, insieme alla famiglia, sotto scorta. La grande soddisfazione arriva nel 1987 con la condanna si 346 imputati: la lotta alla mafia è appena iniziata e il maxi processo è solo una piccola vittoria, ma il cammino è ancora lungo.

“Parlare ai giovani, alla gente, raccontare chi sono e come si arricchiscono i mafiosi fa parte dei doveri di un giudice. Senza una nuova coscienza, noi, da soli, non ce la faremo mai.” Rocco Chinnici.
Cominciando con le parole del giudice Chinnici volevo chiederle quanto è stato importante il gioco di squadra per combattere la mafia, grazie anche al primo pool antimafia?

Il dott. Grasso risponde affermando che il gioco di squadra e l’istituzione del pool antimafia furono fondamentali per dirigere le indagini e non solo, perché il pool per Pietro Grasso è stata anche una famiglia, ci spiega che trascorrevano le giornate ad indagare e cercare prove sempre in contatto uno con l’altro. L’Onorevole Grasso ci ricorda anche un piccolo aneddoto: mentre proseguivano le indagini strinse un forte legame con il giudice Chinnici e poiché era molto giovane lo chiamava simpaticamente “Pavesone” a causa di una pubblicità della Pavesi che andava in onda in quegli anni. Con questo aneddoto il giudice Grasso ci testimonia la semplicità di questi uomini che hanno dato la vita per la lotta alla mafia.

Il 1987 rappresenta la fine del maxi processo nel quale vengono condannati più di 300 imputati, ma anche l’ inizio degli  “attacchi “ al pool antimafia.

Nel 1988 Il giudice Caponetto, a capo dell’Ufficio Istruzione al Tribunale di Palermo, viene sostituito dal giudice Meli inaspettatamente, poiché si ci aspettava il giudice Falcone. Quindi su ordine del giudice Meli il pool viene sciolto e le indagini subiscono un forte rallentamento.

Nel 1989 Fallí l’attentato definito “finto” al giudice Falcone sulle scogliere dell’Addaura.

Nel 1990 c’è  candidatura del giudice Falcone al Consiglio Superiore della Magistratura che viene respinta con grande sorpresa.

Nel 1991 avviene la creazione della Procura Nazionale Antimafia. Il giudice Falcone non viene nominato a capo della Procura nazionale antimafia.

Sembra un disegno, non solo mafioso, ma anche politico, per impedire che le indagini vadano avanti. Perché? Quali sono i rapporti tra Mafia e una parte dello Stato?

Lo Stato e la mafia sono come i pesci e l’acqua, devono vivere insieme e uno non può fare a meno dell’altro per sopravvivere. È chiaro che esiste un rapporto tra lo Stato e la mafia, per citare Paolo Borsellino “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul controllo dello stesso territorio: o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.” C’è un contatto più o meno diretto tra lo Stato e l’organizzazione mafiosa, si parla di un collegamento irreversibile perché ormai la criminalità organizzata è penetrata nelle istituzioni attraverso politici in maniera definitiva. È perciò grande dovere della magistratura e soprattutto dei cittadini di far indietreggiare la mafia fuori dalle istituzioni dello stato.

23 maggio 1992 strage di Capaci, come si è sentito dopo la notizia?

Questa è una ferita aperta che non si è rimarginata. Persiste in me anche un senso di colpa per essere sopravvissuto in questo frangente, poiché non presi l’aereo con Giovanni e se non avessi trovato posto su un aereo di linea a quest’ora non sarei con voi a raccontarlo. Provai sentimenti di dolore e rabbia quando appresi la notizia; nel momento in cui avvenne la strage mi trovavo a casa: gli uomini della scorta di corsa salirono le scale senza aspettare che fosse libero l’ascensore e vennero a bussare alla mia porta e mi dissero: “ abbiamo sentito via radio che appunto… c’è stato questo attentato, in cui è stato coinvolto Falcone, i membri della scorta e la moglie”. Allora io accesi subito il televisore e sentii che Falcone e la moglie erano stati estratti dai rottami dell’auto ancora vivi e quindi erano stati portati all’ospedale. In quel momento vicino a me c’era anche mio figlio con cui Falcone, che non aveva figli, giocava nei momenti in cui ci incontravamo d’estate. Ci abbracciamo e scoppiò a piangere perché in quel momento capì il rischio che comportava il nostro lavoro e il senso del sacrificio che aveva fatto nel non vedermi per 5 anni durante il maxiprocesso. Mi precipitai subito all’ospedale per avere notizie … dopo poco uscì Paolo Borsellino dal pronto soccorso dell’ospedale civico con faccia distrutta e mi disse: “non c’è stato nulla da fare”. Quello che ho provato è qualcosa che rimane per tutta la vita : non l’ho potuto mai dimenticato.
Quando vedi le bare di chi è caduto per mano della mafia capisci che non puoi mollare e io non avevo intenzione di mollare anche perché in quelle bare ci sarei potuto essere io.

Lo stato e la mafia o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.

Questa parte dello stato che si mette d’accordo con la mafia cosa ci guadagna?

Se la mafia fosse soltanto un fatto criminale, con le operazioni di polizia e con gli arresti sarebbe già un fenomeno estinto, ma persiste un fenomeno umano. Come tutti i fenomeni umani ha avuto un inizio e avrà una fine. Però ci sono altri interessi, anche Paolo Borsellino la pensava così, e pensava che oltre alla mafia c’erano delle forze occulte che sono rimaste occulte tutt’ora. Lui infatti, cercò di capire il perché, ma ancora non ci si è riusciti. Vede, la responsabilità penale è personale e se noi magistrati non indichiamo i nomi esatti rimane purtroppo un discorso molto vago; mi piacerebbe tanto poter dire che questo è uno che rappresenta quella categoria di interessi e la mafia. Ecco abbiamo molte prove di depistaggi e collegamenti che ci sono stati, nel caso Borsellino : ci sono stati dei depistaggi per evitare che le indagini andassero a scoprire la realtà, perciò desumi che c’è questa entità subdola, ma dal punto di vista giudiziario è necessario che qualcuno ti aiuti a scovare la verità e ad indicare quelle persone che rappresentano gli interessi mafiosi. Io continuo ancora a cercare queste persone.
E non mi sono mai arreso, infatti spero che ci possa essere sempre qualcuno che collabori proveniente dall’interno di quest’entità anche se più il tempo passa più sarà difficile che accada.
Ormai sono passati quasi 30 anni però, come diceva Borsellino, ci sono altri interessi che volevano per esempio togliere, impedire quell’azione così forte portata avanti da Giovanni Falcone e che si è conclusa con il maxiprocesso e che finalmente aveva portato all’ergastolo e al carcere a vita i capi della mafia; nessun altro processo era riuscito a incarcerare un mafioso a vita, poiché prima restavano in carcere qualche mese e per insufficienza di prove uscivano. Non veniva contrastato il potere della mafia prima del maxiprocesso, e quest’ultimo riuscì a intaccare dall’interno questo sistema basato sull’omertà. L’idea dei collaboratori di giustizia provenienti dalla mafia si rivelò uno strumento efficacissimo per contrastare questo potere, da mafiosi sono diventati prove e testimoni contro la mafia stessa; però si sono fermati ad un certo punto perché non conoscevano le altre realtà più potenti al di sopra del loro posto nella gerarchia mafiosa. C’era un compartimento stagno che solo alcuni vertici frequentavano e conoscevano determinati rapporti: io spero sempre di arrivare a una conclusione.

Strage di via D’Amelio: dopo quasi trent’anni non sono ancora sciolti dubbi e misteri, come la scomparsa dell’agenda rossa del giudice. Cosa c’è dietro e dov’è finita l’agenda?

Alcuni giorni prima Borsellino era venuto a trovarmi a Roma mentre io lavoravo al Ministero di Giustizia per le nuove leggi antimafia: aveva degli interrogatori a Roma e mi disse una frase che evidenziò la sua piena consapevolezza che erano arrivati a Palermo l’esplosivo per lui e quindi sapeva che sarebbe andato incontro alla morte. Apprese la notizia dell’arrivo dell’esplosivo in maniera fortuita all’ aeroporto di Fiumicino: nessuno era stato avvisato ufficialmente neanche il ministro Salvo Andò. Quando Borsellino tornò a Palermo chiese spiegazioni al procuratore Giammanco e la risposta del procuratore fu: “ma io l’ho mandata alla procura competente che era Caltanissetta”. Ma non si può trattare un’informazione così importante modo del tutto burocratico . Dopo la morte di Giovanni, Paolo Borsellino annotava tutte le informazioni raccolte su un’ agenda rossa : conteneva informazioni riservate, personali e gravi che lui aveva annottato, ma soprattutto alcun idee che si era fatto sulla strage di Capaci. L’agenda fu la prima cosa che scomparve subito dopo la strage. Ci sono state delle indagini con varie foto : si ha la certezza assoluta che il giudice l’avesse messa nella borsa, che era rimasta intonsa nella macchina. Bene, quella borsa fu restituita sena l’agenda dopo mesi e non si riuscì mai a capire chi l’avesse presa. Si presume anche che siano state fatte delle copie e che qualcuno abbia usato le informazioni contenute all’interno per ricattare altre persone. Purtroppo ancora passi avanti su questa agenda non ce ne sono stati e io penso che uno Stato non sia democratico se non riesce a fare luce su questa verità e dobbiamo ancora cercare e cercare.

Dopo il terremoto dell’Aquila la mafia si è infiltrata nelle gare d’appalto per ricostruire. Perciò non è più una mafia stragista, ma si è evoluta e ha spostato i suoi interessi in altri campi. Com’è cambiata la mafia e come si riconosce oggi?

Della mafia si danno tante definizioni, spesso si parla di una mafia agricola, degli stupefacenti, mafia della speculazione edilizia, dei mercati finanziari, sembrano mafie diverse ma in realtà è sempre la stessa che viene qualificata in maniera diversa in relazione al periodo storico. Prima con l’attacco frontale allo Stato attraverso le stragi, oggi invece la mafia ha scelto un’altra strategia. Provenzano quando prese il potere decise di non mostrare più il volto violento della mafia così da farla sparire apparentemente, cercando di infiltrarsi nelle istituzioni e nelle società.
Adesso mi chiederete come ha fatto? Lo ha fatto attraverso la condivisione di profitti, forme di ricatto, per cui una volta che si aderisci non è più possibile uscirne; oppure infiltrarsi all’interno delle imprese e dare liquidità ad esse aiutandole in periodi difficili per poi soggiogarle. Ho paragonato questo periodo di Covid ad un periodo di emergenza perché ho scoperto che a Palermo, un mafioso distribuiva sacchetti con la spesa alle persone in difficoltà al fine di ottenere consensi. Ma c’è poi quest’altra attività … quella di accaparrarsi i fondi stanziati per la ricostruzione della nostra economia. È chiaro che se qualcuno ti chiede di fare qualcosa di illegale è probabile che abbia interessi mafiosi e bisogna cercare di contrastare e questi soggetti e scegliere da che parte stare.

“Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali che continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini” Frase di Falcone

Come possiamo essere successori di un impegno così grande?

Ho conosciuto molti giovani nella mia vita, e ho compreso che in relazione al luogo dove si nasce si ha una vita diversa. Chiaramente ci sono tanti ragazzi che nascono nelle periferie, che vivono la criminalità da vicino e che hanno come unica maestra di vita la strada. Però tutti i giovani che ho incontrato hanno manifestato questa luce particolare che vedo anche nei vostri occhi, seppur attraverso uno schermo: la luce del sapere, della ricerca, della conoscenza e noi dobbiamo far sì che i valori che hanno testimoniato i giudici Falcone e Borsellino possano continuare attraverso la memoria. Ho vissuto con loro e sono testimone di quei tempi e voglio lasciare tracce per non dimenticare. I giudici Falcone e Borsellino sono considerati supereroi, ma loro non avevano super poteri, avevano come unico potere la legge, la legalità e la consapevolezza che è importante lottare contro il crimine e continuare ad impegnarsi per questa lotta. Ad esempio, quando arrestammo un mafioso mentre era in carcere passava bigliettini scritti con precisi ordini alla moglie, in tal modo di continuare a gestire l’attività mafiosa anche dal penitenziario, e quando lo scoprimmo dovetti arrestare anche la moglie e quando dopo 10 giorni la moglie tornò a casa, le due figlie che a scuola seguivano un percorso di legalità dissero alla madre che dovevano andarsene di lì, perché a scuola venivano consideravano delle mafiose. Solo dopo una lunga riflessione la madre si convinse a collaborare e si trasferirono. Le due ragazze quindi riuscirono a compiere il loro percorso e un giorno cercarono anche di far collaborare anche il padre ma lui non si convinse. Tutto questo per dire che il percorso scolastico riuscì a convertire tramite i figli i genitori; ed è per questo che da moltissimi anni continuo ad andare nelle scuole per trasmettere a voi questi messaggi. Per concludere voglio dire che i giudici Falcone e Borsellino non sono super eroi, ma certamente persone eccezionali da imitare ed imitabili.

Dopo aver ascoltato attentamente le risposte che l’onorevole Pietro Grasso ci ha fornito è doveroso ringraziare il nostro ospite prima di tutto per il tempo che ci ha gentilmente dedicato e anche per gli spunti di riflessione che ha alimentato, mediante le sue risposte, in noi giovani sulla criminalità organizzata, ma anche sul senso civico che ognuno di noi dovrebbe sviluppare.
Un ringraziamento sincero all’Onorevole Grasso anche per aver reso la nostra coscienza più consapevole, per averci avvicinato ad una realtà scomoda come la mafia, che purtroppo ci circonda quotidianamente; è stato un onore aver avuto la possibilità di parlare con un Uomo e un Magistrato di tale spessore umano, morale e professionale.

Grazie a Chiara Morali che è riuscita ad organizzare il nostro incontro con Pietro Grasso, alla scuola e in particolare alla professoressa Descalzo che gestisce il progetto sulla Legalità