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L'EDITORIALE

Che cosa possiamo fare?

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di Federico Pichetto

– Di fronte ai cambiamenti che caratterizzano il nostro tempo, di fronte alle ingiustizie o alle necessità in cui vivono milioni di persone, è normale chiedersi: “Che cosa possiamo fare?”.
A dire il vero si tratta di una domanda che ci afferra molte volte nella nostra vita quotidiana: quando siamo in una situazione difficile, dopo aver preso un quattro a scuola oppure quando ci accorgiamo che qualcosa non va con noi stessi, con l’amore o con gli stessi amici, la domanda – allora – prepotentemente ritorna: “Che cosa possiamo fare?”. Non esiste una ricetta di fronte alla vita, ma ci sono almeno tre attenzioni che possiamo osservare per affrontare ogni situazione, ogni istante, del nostro esserci. La prima attenzione è semplice: ciascuno di noi ha un posto, il suo posto, ed è chiamato ad occuparlo. Viviamo spesso desiderando di essere quello che non siamo, come se non avessimo già un compito, un impegno, una situazione, in cui rimanere. Imparare a stare al nostro posto, occuparlo fino in fondo, è il segreto per rimanere sul serio in contatto con la realtà, per non perdere di vista la verità della nostra esistenza. Può essere utile – a questo proposito – farsi un elenco delle circostanze oggettive che ciascuno di noi ha da vivere, ripetersi nella mente qual è il nostro vero lavoro, chi sono i protagonisti della nostra vita, quali i nostri difetti e quali i nostri pregi. Niente di impossibile da fare, ma tutto molto necessario per ottenere dentro di noi il senso – il gusto – del nostro compito e della nostra responsabilità. La vita ci mette in determinati confini oggettivi che sono lo spazio in cui ognuno è chiamato a giocarsi e a crescere. Perdere di vista tutto questo significa condannarsi ad un’allucinazione terribile, ad una distanza abissale tra quello che siamo e quello che pensiamo. Un vero disastro. Ma non è finita. Spesso ci lamentiamo di quello che gli altri ci fanno, di quello che non danno o che evitano. Ma anche questo elimina un’attenzione fondamentale della vita: tutti siamo chiamati a fare il nostro pezzo. Noi non possiamo fare tutto, essere tutto, ma quello che possiamo fare – invece – abbiamo il dovere di farlo. Io non posso risolvere i problemi ambientali del mondo, ma posso gettare la carta nel suo contenitore e non per strada. Non posso fermare i furti e la corruzione, ma posso pagare il biglietto dell’autobus. Non posso aiutare tutti i poveri del pianeta, ma posso aiutarne, come sono in grado, almeno uno. Allo stesso modo non posso “cambiare” la mia fidanzata o i miei genitori, ma posso cambiare il modo con cui io sto di fronte a loro. Fare il mio pezzo, fare quello che io devo e posso fare: questo è il segreto della responsabilità e della vita. Infine una cosa che può sembrare banalissima, ma che veramente cambia il mondo: smettere di fare quello che si vuole per iniziare a volere quello che si fa. In un mondo passivo, dove tutto sembra automatico e scontato oppure da contestare e commentare, desiderare di vivere l’istante che ho davanti è una rivoluzione, un laico miracolo che ci restituisce alla vita meno reattivi, meno permalosi, ma più attenti, più custodi di quello che abbiamo ricevuto e di quello che siamo. Ecco, dunque, tutto quello che ciascuno di noi può fare: stare al proprio posto, assumersi le proprie responsabilità e vivere con consapevolezza – col desiderio di scegliere – ogni particolare e ogni circostanza che c’è e che mi “tocca”. Perché prima di cambiare casa, di cercare mondi nuovi, di lasciare tutto e di partire, è necessario semplicemente accogliere, assumere con curiosità e disponibilità – senza pregiudizi – tutta la nostra vita. Solo così sarà davvero possibile lasciare il segno, cambiare e migliorare questo nostro piccolo-grande mondo che si chiama terra e che attende da noi la cura che ogni ospite dovrebbe avere per una casa che – con grande generosità – gli è stata data in prestito.

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L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

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1) Ti sparano

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

2) Ti uccidi

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

Però ci si può chiedere: perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

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IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

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La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

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