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ATTUALITA'

Ci state mandando al fronte. E non ve ne rendete neppure conto

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della Redazione

Tutto d’un tratto torna la paura. L’autoproclamato Califfo del Daesh (l’acronimo arabo per indicare lo stato terroristico costituitosi nel giugno del 2014 tra l’Iraq e la Siria) ha minacciato in un video nuovamente l’Occidente, mentre da Vienna si fa sapere che diverse capitali europee sono sotto osservazione per possibili attacchi di guerra tra Natale e Capodanno.
In questi mesi prendere un treno, andare in gita o stare su un autobus porta sempre con sé un po’ di preoccupazione, come se una vocina dal di dentro ti dicesse: “E se stavolta toccasse a me?”. Non è facile convivere con la paura e scegliere tra la necessità di non cedere al ricatto dei terroristi e la legittimità della prudenza. La nostra scuola ha optato per una sospensione degli scambi e degli stage con l’estero almeno fino a febbraio. Il fatto è che però nessuno può dire se e quando tutto questo finirà. Passare il capodanno con la paura di ballare o di ritrovarsi vuol dire – di fatto – essere in ostaggio. Il vero problema è che il nostro sequestratore non ha un riscatto da chiedere, ma vuole semplicemente che ciascuno di noi senta su di sé la paura. Siamo di fronte ad una guerra sadica, animata da un fortissimo risentimento verso l’Occidente e da una mattanza fra giovani che ricorda solo l’inutile strage di 100 anni fa quando, nel 1917, furono mandati al fronte i diciottenni – i ragazzi del ’99 – a risolvere e a combattere la guerra dei loro padri. Oggi “quelli del ’99” fanno terza superiore e ancora una volta sono loro a essere di nuovo mandati al fronte, il fronte invisibile che passa per l’amore alla vita, alla gioia, al divertimento, il fronte del nostro tempo libero. Su quel fronte, oggi, si può di nuovo morire. E forse sarebbe l’ora che i nostri padri si domandassero dove in tutto questo affondino le radici delle loro responsabilità, complici inevitabili del sistema economico e geopolitico che essi stessi hanno contribuito ad implementare o costruire. Non c’è nessun atto d’accusa in queste nostre parole: le situazioni sono davvero troppo complesse e forse siamo davvero troppo giovani per capire. Ma, in definitiva, a morire in questa guerra siamo noi. E allora qualcuno, invece di premurarsi per il nostro capodanno, farebbe bene a domandarsi come è possibile chiudere per sempre questa trincea che attraversa la banalità della nostra vita e che può riempire di lacrime altre famiglie, altri ragazzi del Bataclan, altri ignari tifosi di una partita del fine settimana. E di certo, davanti a tutto questo, è evidente che le parole non bastano: occorre cominciare ad occuparsi seriamente di una guerra che ha deciso di voler essere combattuta nel fragile campo dei nostri venerdì sera. Una guerra che non può quindi essere ridotta solo al fanatismo e all’odio, ma che – giorno dopo giorno – chiede a tutti uno scatto di responsabilità. Anzitutto verso di noi, verso quelli che sono i vostri figli.

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POLITICA E ALIMENTAZIONE/La guerra agli hamburger di soia

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I prodotti a base vegetale stanno riempiendo sempre di più gli scaffali dei supermercati italiani.

Oggi è possibile sostituire i tradizionali prodotti a base di carne con hamburger di soia, salsicce di seitan o polpette vegetali. Il nome “hamburger di soia”, per esempio, può risultare paradossale, ma non in un mondo dove il futuro della carne è vegetale.

9 italiani su 10 sono favorevoli all’utilizzo di termini come questo, che rimandano inevitabilmente al mondo della carne con lo scopo di rendere il consumatore più consapevole del prodotto e promuovono scelte alimentari più salutari e sostenibili. È indubbio che si tratti di marketing, ma è davvero un tema su cui dover discutere?

Per alcuni deputati della Camera, sì.

Una proposta di legge che vuole vietare l’uso di nomi riconducibili alla carne per i prodotti vegetali è stata infatti presentata nella Commissione Agricoltura della Camera. L’obiettivo di questa legge è quello di difendere gli allevamenti e la produzione di carne italiana, che sarebbero svantaggiati dalla concorrenza di scelte alternative. Prodotti come la “bresaola di seitan” o la “bistecca di tofu” potrebbero, secondo i promotori della legge, indurre chi compra a pensare erroneamente che questi alimenti siano esattamente identici alla carne a livello nutrizionale.

Secondo l’organizzazione per i diritti animali “Essere Animali”, l’argomento della legge è fuorviante, perché ci sono differenze nutrizionali anche tra prodotti a base di carni diverse con lo stesso nome. I prodotti che usano questo tipo di termini, inoltre, avvicinano le persone a un’alimentazione più veg, una scelta migliore non solo per la salute ma anche per l’ambiente.

La proposta di legge, infatti, non considera i vantaggi a livello di sostenibilità ambientale che offre l’alimentazione vegetale: un report della Commissione Europea ha dimostrato che il settore zootecnico (una parte del settore primario che consiste nell’allevamento, nell’addomesticamento e nello sfruttamento di animali a fini produttivi) è responsabile per l’81- 86% delle emissioni totali di gas serra nell’agricoltura.

Per questi motivi Essere Animali ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di impegnarsi a bloccare la proposta.

 

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ATTUALITA'

MALASANITÀ/Il dramma del neonato morto al Pertini

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L’otto gennaio di quest’anno, al ospedale Pertini di Roma un neonato è morto soffocato quando la madre che lo stava allattando si addormenta.

Successivamente la procura ha aperto un fascicolo: “omicidio colposo”.

Intanto però la notizia si diffonde, e il padre del neonato racconta al Messaggero di come la donna fosse sfinita e priva di energie dopo ben 17 ore di travaglio.

La moglie aveva più volte chiesto ai responsabili del reparto di portare il neonato al nido del ospedale per poter riposare, anche solo per qualche ora.

Ma il permesso le era sempre stato negato.

Nei giorni successivi il fatto ha scatenato un accesso dibattito riguardante le procedure post-parto degli ospedali.

Infatti, negli ospedali solitamente è previsto il cosiddetto “rooming-in”, ovvero il neonato subito dopo il parto, viene tenuto nella stessa stanza della madre anziché in una camera in comune con altri neonati.

A questa pratica però, dovrebbe essere sempre proposta un alternativa cioè la gestione dei neonati da parte del Asilo del ospedale, fino al termine della permanenza.

Questa seconda opportunità non viene sempre tenuta in considerazione, e centinaia di donne nei giorni scorsi hanno raccontato la loro esperienza denunciando che la possibilità di usufruire del nido ospedaliero sia stata loro  negata.

Le domande che ci si pongono in questi casi sono molteplici: Cosa sarebbe accaduto se questa donna avesse potuto riposare per qualche ora? O anche solo sé qualcuno avesse avuto cura si sorvegliarla e assisterla? La pratica di rooming-in vale per qualsiasi situazione? È  davvero la scelta più adeguata?

Il drammatico evento che ha portato  il decesso del neonato di Roma dovrebbe stimolare le coscienze e una azione diretta delle istituzioni per tutelare maggiormente la salute delle donne dopo il parto.

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DALL'EUROPA

MODA/Un italiano al timone di Luis Vuitton

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Pietro Beccari è il nuovo amministratore delegato e presidente di Louis Vuitton. Un italiano, dunque, guiderà la marca francese di lusso più nota al mondo fondata da Bernard Arnault. Beccari succederà a Michael Burke. Mentre alla guida di Dior andrà Delphine Arnault, figlia primogenita dell’imprenditore attualmente “uomo più ricco del mondo” secondo Forbes. Un cambio ai vertici che era nell’aria e attendeva solo la conferma ufficiale. Questo è forse il primo dei molti i cambiamenti che attendono il mondo della moda per questo 2023, nel management come nelle direzioni creative.

Pietro Beccari, parmense classe 1967, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore marketing di Benckiser (Italia) e Parmalat (Usa), per poi passare alla direzione generale di Henkel in Germania, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione Haircare.

Nel 2006 è entrato in LVMH in qualità di vicepresidente esecutivo marketing e comunicazione per Louis Vuitton, prima di diventare Presidente e ceo di Fendi nel 2012. Da febbraio 2018 è presidente e ceo di Christian Dior Couture, oltre che membro del comitato esecutivo di LVMH.

“Pietro Beccari”, ha commentato Bernard Arnault, fondatore e CEO di LVMH: “ha svolto un lavoro eccezionale in Christian Dior negli ultimi cinque anni. La sua leadership ha accelerato il fascino e il successo di questa iconica Maison. I valori di eleganza di Monsieur Dior e il suo spirito innovativo hanno ricevuto una nuova intensità, supportata da designer di grande talento. La reinvenzione della storica boutique al 30 di Montaigne è emblematica di questo slancio. Sono certo che Pietro condurrà Louis Vuitton a un nuovo livello di successo e di desiderabilità”.

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