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L'EDITORIALE

Crisi di mezz’età

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di Serena Tartarini

– Il 10 giugno verrà fischiato il calcio d’inizio agli Europei 2016 e gli stadi francesi vedranno protagoniste le nazionali di 24 paesi membri dell’Unione Europea, tra cui l’Italia.Lo spirito calcistico degli italiani sembra già pronto, siamo tutti pronti a sognare insieme ai 23 giocatori azzurri, rappresentanti della nostra Nazione in quest’avventura.
Pubblicità, commoventi e ispiranti nazionalismi, la mano sul cuore, l’inno di Mameli e le guance tricolore, ma quando non si parla di divertimento, di festa e di costume il nostro coinvolgimento emotivo è debole; come una squadra con due giocatori espulsi siamo fragili e insicuri, facilmente attaccabili e in balia degli eventi.
Italiani, pronti alla morte combattendo per un ideale, ma ad oggi ignari di quale esso sia davvero.
Refrattari e indifferenti, troppo spesso giudici di fronte a quello che accade; senza mai considerare che quello che succede ai nostri vicini ci riguardi, coltiviamo il nostro giardino dimenticando che esso non è delimitato dai nostri confini geografici.
Siamo uno degli stati fondatori dalla Comunità europea, ma non fondanti perchè, in questo tempo di crisi, non si sono risparmiate le discussioni e le critiche nei confronti dell’unione europea.
Indicando spesso l’Euro come capro espiatorio e causa prima della crisi, l’Europa si è rivelata fragile. Sovente colpevolizzata del malessere economico comune e mai difesa da quegli atteggiamenti che hanno reso la politica europea labile. I nascenti movimenti populisti rappresentano la causa degli egoismi, sono l’effetto del ritorno al nazionalismo che, all’unificazione dell’Europa, pensavamo essersi annullato.
Formatasi in origine sulla base di valori come libertà e democrazia, oggi l’UE tutta sta vivendo una crisi di mezz’età.
Questi principi si agitano retoricamente e non guidano più le politiche, oggi prevalentemente mirate al buon funzionamento dei mercati.
Una crisi non passeggera e nemmeno di facile soluzione, che non è solo il risultato di tattiche e schemi politici miranti il benessere singolare, ma è piuttosto frutto di un mancato interesse a quelli che dovrebbero essere i principi etici e morali che spingono diverse nazioni, diversi popoli e culture a unirsi.
Unione è sinonimo di legame, armonia e solidarietà, ma Unione Europea è oggi sinonimo di instabilità, non di incontro e comprensione.
Ci siamo dentro, viviamo la crisi, subiamo il disfacimento dei valori dell’uomo.
Il dilagare di episodi raccapriccianti, il verificarsi di situazioni contrarie alla morale e alla natura stessa dell’uomo, sono cronaca di tutti i giorni e noi, nostro malgrado, abbiamo imparato a conviverci.
Senza nemmeno stupirci più, siamo testimoni di massacri, di attentati e di stragi in cui la nostra troppa libertà sembra essere la causa prima.
Siamo figli e nipoti di chi ha combattuto e perso la vita per la libertà che oggi, più di ogni altra cosa, temiamo.
Siamo diffidenti, nei confronti degli altri, del diverso, del ricco, del povero. Chiudiamo le nostre menti ulteriormente convinti del fatto che tutto sia il risultato dell’equazione progresso=crisi e che la realtà che ci circonda non sia frutto dei nostri atteggiamenti, ma del caso.
Italiani, francesi, austriaci, europei. A tutti noi, nessuno escluso, manca la voglia di mettersi in gioco. Trovare soluzioni temporanee per far fronte alle emergenze non è l’attitudine giusta per scendere in campo. Per indossare una maglia con onore, è necessario organizzazione, allenamento e anche una preparazione in vista di possibili situazioni di gioco difficili, ma il fattore che distingue una squadra forte, da una debole, è il senso di appartenenza a tale squadra.
Quando il tempo sta scadendo, e si spera nei minuti di recupero non sempre una squadra con giocatori d’esperienza vince; l’esperienza è importante, ma la freschezza e anche l’ingenuità sono componenti necessarie. Forse in Europa, come nella nostra Nazionale, occorrerebbero giovani, pronti a calciare una palla in contropiede e cambiare le cose.

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L'EDITORIALE

IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

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La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

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L'EDITORIALE

L’ideologia non è una strategia

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E’ iniziato tutto poche settimane fa, intorno al caso della nave Ocean Viking: un pasticcio gestito malissimo con una nave carica di più di 230 persone in fuga dall’Africa che non solo non trova rifugio e assistenza presso un porto italiano, ma è costretta a spingersi verso nord, verso Tolone, per ricevere ristoro.

 

VENTI DI CRISI

Fin qui la cosa sarebbe umanitariamente grave, ma politicamente non gravissima: è il governo della destra, insediatosi in Italia non appena un mese fa, che sui migranti decide di dare un segnale forte alla comunità internazionale e che – a voler essere benevoli – si potrebbe declinare con l’antico motto “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”. Il pugno duro, pertanto, potrebbe rappresentare una richiesta forte ai paesi dell’Unione: o ci aiutate o non capite che cosa sta succedendo.

 

L’ERRORE ITALIANO

Il punto è che la cosa andrebbe concordata. Concordata con i nostri partner e costruita nell’ambito di una strategia politica capace di portare al tavolo europeo un problema di tutti. Sembrava averlo capito Meloni, sembrava che tra lei e Macron le cose potessero funzionare, ma qualcuno al ministero non ha aspettato che l’accordo si chiudesse e ha pubblicamente invitato la nave “ad andare in Francia”.

 

LA REAZIONE FRANCESE

Da qui la stizza di un governo d’oltralpe che tutti i giorni deve fronteggiare gli attacchi xenofobi della Le Pen in un parlamento ormai ostile al Presidente. Da qui un lungo gelo scalfito solo dalla telefonata tra Macron e Mattarella, ma che non si è ancora tradotto in una riconciliazione.

 

CONSEGUENZE SUL GAS E SULLE PARTITE DECISIVE

Meloni perde così un alleato importante, un alleato decisivo nella guerra del gas che il nord Europa vorrebbe non combattere perché troppo beneficiario dei risvolti positivi che la congiuntura attuale permette in suo favore. Per fare il pugno duro sull’ideologia, Meloni si ritrova senza strategia. Come se le battaglie, in fondo, si vincessero con le posizioni di principio.

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