Dopo le elezioni americane /Il coraggio di riscoprirsi impotenti

di Federico Pichetto*

– Scriviamo al termine di una settimana dominata dalle elezioni americane. Ancora una volta i Media si sono dimostrati lontani dal “sentire” della gente e hanno contribuito a creare un clima così ostile nei confronti di chi non era allineato al pensiero comune, da indurre molti a tenere nascoste le proprie reali intenzioni di voto. Si confrontano, così, nella nostra società, due nuovi fascismi. Il fascismo delle idee, che offre risposte forti e aggressive ai problemi del nostro tempo, e il fascismo dei costumi, che non tollera altra posizione di quella coltivata e alimentata dalle lobby e dagli establishment del mondo occidentale. Ora, a livello storico, noi sappiamo che il fascismo è sempre una reazione, una scelta, che si manifesta dinnanzi ad una fragilità, ad un vuoto. Il vuoto del nostro tempo è quello dell’impotenza: noi ci sentiamo impotenti. Ed è questa impotenza a lasciarci attoniti, pieni di rabbia e di paura. Siamo così tanto abituati a “potere” che i confini oggettivi che la libertà umana, la natura e i fattori storici ci stanno ponendo si rivelano per noi assurdi e insopportabili. Non possiamo effettivamente far niente contro la cieca violenza del terrorismo, contro l’inesorabile migrazione dei popoli verso l’Europa, contro un’economia che non riparte e una crisi che si fa sempre più strutturale e profonda. Ma non possiamo fare niente neppure contro l’infelicità, contro l’amore o l’amicizia che ci abbandona, contro i disegni e i sogni di una vita che si rovinano per sempre. Per questo l’unica risposta che ci viene in mente è quella di distruggere tutti, di rovesciare tutto e di vedere “l’effetto che fa”. Probabilmente le cosiddette “primavere arabe” del 2011 non sono state altro – paradossalmente – che il campanello d’allarme che preannunciava la fine della “democrazia borghese”, ossia quella democrazia che vedeva nella borghesia e nelle sue istanze la classe sociale più adatta a governare il nostro tempo. È sorta così una “democrazia puritana”, dove i veri paladini del buon governo, sono i puri, quelli non compromessi con nessun sistema e nessun potere. Il tutto, ovviamente, è di facciata perché simili uomini non esistono e, quando appaiono sotto queste vesti, sono sempre in qualche modo “prodotti” venduti bene. I puritani offrono risposte vigorose al tormento del nostro tempo, risposte facili, drasticamente risolutive, ma – alla pari dei vecchi borghesi – si rivelano incapaci di affrontare l’impotenza dell’uomo e di accompagnare i popoli con leggi che aiutino la presa di coscienza e la responsabilità dei singoli nel momento presente. Prima di cadere nel baratro di un conflitto insanabile si può ancora cambiare. E il miglior modo di cambiare è quello di rimanere fermi, di accettare il nostro tempo, la nostra vita, e di ritornare a dialogare con il presente. Non cercando di liberarsene, ma cercando – con molto più impegno – di abitarlo e di renderlo fecondo. Ritornando ad affermare, con l’umiltà, che dinnanzi ad alcune grandi cose “io non posso far nulla” se non – pazientemente – ricominciare. “È bello vivere – diceva Pavese – perchè vivere è ricominciare. Sempre. Ad ogni istante”. Al di là di ogni odio e di ogni violenza, al di là di ogni paura e di ogni rabbia. Al di là del nostro stesso “essere impotenti”. Coltivando il coraggio di riconoscere quello che siamo e di riaprire il cuore alla possibilità che riaccada, tra le circostanze della nostra esistenza, un Bene ora.

*docente coordinatore del progetto Sharing

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