Ultimo addio al 2017: da dove possiamo ripartire?

di Alberto Zali

– Ogni anno, il 31 dicembre ci presenta il conto. I buoni propositi, le promesse, i legami: tutto si incrina, si infrange sotto il peso di una realtà che non è come vorremmo. Le tasse ci tolgono il respiro. La società in cui viviamo crea mancanze alle quali non possiamo sopperire. Il più otteniamo, il più ci sentiamo vuoti, sommersi dall’infinità dei nostri frustrati desideri. E ci chiediamo: chi siamo?

È una domanda che ogni perdita, ogni caduta, ogni fine anno porta con sé. Speriamo sempre che il prossimo vada meglio. Siamo quei desideri infranti? Siamo le cicatrici sulla nostra pelle? Siamo una mancanza? Difficile rispondere. Allora ci rifugiamo in un “chi vorremmo essere”. Successo, accettazione, amici: saremmo disposti a tutto pur di ottenerli. Il dolore non ha avuto la meglio su di noi. Siamo pronti a rialzarci, a combattere con le unghie e con i denti per i nostri sogni. È la voglia di riscatto a muoverci. C’è un che di ripetitivo in tutto ciò: pare quasi di essere prigionieri in un ciclo cosmico che non può essere spezzato. Soffriamo, speriamo, rimaniamo delusi e soffriamo ancora e ancora e ancora. Chi siamo? Pulvis et umbra sumus? Siamo la cenere del fuoco che ardeva per le nostre convinzioni?

Poi, un giorno succede qualcosa: non sappiamo bene cosa – non ci importa, per la prima volta, saperlo. Accade che, d’un tratto, ci scopriamo incompleti e riusciamo a guardarci, davvero, per questa nostra incompletezza. Ci mettiamo a nudo, non davanti agli altri, ma davanti a noi stessi. Non dobbiamo cambiare, non dobbiamo essere quello che chi amiamo si aspetta da noi. Tutto il dolore degli anni precedenti ci ha portati fino a qui: a capire che noi siamo parte di un qualcosa di misteriosamente splendido. Perché – ammettiamocelo – se tutto andasse sempre per il meglio, non avrebbe sapore la differenza tra noia, monotonia e stupore.

Qui si gioca il nostro “domani”, il nuovo anno. Qui rinasciamo come “homini novi”. Il mondo non è ciò che ci aspettiamo. Vivere è un po’ come sfogliare a caso le pagine di un libro. Non capiamo perché muore un personaggio, perché finisce una storia d’amore o una amicizia. O meglio, non lo capiamo subito. Anzi, a volte ci vogliono anni e anni, pagine e pagine per ricostruire il tutto. Non recuperiamo il tempo che abbiamo perduto dietro a stupide utopie del passato. Non lo recuperiamo perché semplicemente non c’è niente da recuperare: nessun fallimento é tempo perso. Un anno se ne va, ma qualcosa dentro di noi resta. E allora non è troppo tardi per salvare un rapporto, una persona o addirittura noi stessi.

Con questo spirito dovremmo iniziare questo 2018. Per la prima volta, lottiamo per noi stessi, non per dimostrare qualcosa agli altri. Per la prima volta, accettiamo le sconfitte, perché è grazie ad esse che siamo arrivati dove siamo. Per la prima volta, non prepariamoci a cadere, impariamo piuttosto a farlo. L’odio che manifestiamo verso chi è diverso da noi deriva da un odio ancora più profondo che nutriamo nei nostri confronti. Impariamo ad amarci. Solo allora potremo amare il prossimo nostro come noi stessi. Solo allora saremo in grado di emergere dalla spirale infinita di odio e delusioni che da sempre ci tiene prigionieri.

Ma che ne sarà di me quest’anno?