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L'EDITORIALE

Le donne odiano le donne

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Come si sa i ruoli di genere sono da sempre uno dei fondamenti della nostra società, eradicati, pietre miliari di stereotipi e tossicità. Essi per la maggior parte dei casi definiscono i generi in base a delle preferenze che sin dall’infanzia vengono propinate, ponendo delle definite categorizzazioni sia se sei donna o uomo. Ma cosa succede se in questi schemi mentali proprio non ti ci rivedi? E perchè le donne si ritrovano ad odiare le altre donne?

Le categorizzazioni

Sono stereotipi di cosa un uomo deve fare per essere definito come un vero uomo, come l’essere meno emotivo, più matematico e razionale e cosa una donna deve essere per sentirsi degna di rispetto e valore nella società, come: la cura dell’aspetto, un atteggiamento passivo, dolce, docile e l’emotività, tutte caratteristiche alla base di cosa definiamo femminile. Meccanismi tossici, ovviamente eteronormati e cis-normati, che pongono un grave peso e immense aspettative, spesso irrealistiche. Partendo quindi, da un rifiuto di questi “gender roles”, dal punto di vista femminile, attecchisce un fenomeno che può essere esemplificato secondo la frase: “Non sono come le altre ragazze”.

 

Misoginia interiorizzata e il fenomeno delle “pick me girls”

Capendo di base chi sono le altre ragazze, cioè coloro che idealmente rispondono allo stereotipo irrealizzabile imposto dalla società, ogni ragazza comparandosi a questo stereotipo e trovandosi ovviamente non adatta, avendo anche interessi differenti, si ritrova diversa. Diversità che alle volte si esemplifica in una volontà di essere come le altre e ricevere l’approvazione altrui per questo, ma nella maggior parte dei casi, non è altro che un’arma a doppio taglio deputata a buttare giù le altre, attraverso meccanismi indotti dalla misoginia interiorizzata, fenomeno psicologico che definisce l’atteggiamento di  donne che proiettano idee sessiste nelle altre donne e su se stesse.

L’influenza del patriarcato è evidente. Esso si basa sull’innalzamento delle caratteristiche maschili rispetto a quelle femminili,  portando a valutare gli interessi femminili meno degni di quelli maschili. Il definirsi “non come le altre” può essere visto come una sorta di meccanismo di difesa per attirare l’attenzione maschile e quindi riceverne il consenso, ideale eradicato in noi fin da bambine. Questo tipo di donne vengono definite “pick me girls” che nello slang urbano definisce una forma di misoginia interiorizzata, che si basa su atteggiamenti che puntano al ricevere il consenso e fare una bella impressione sugli uomini. Sono donne che si trovano con amicizie prettamente maschili,non solo perché più affini alla ragazza ma perché essa crede che quelle femminili portino troppo “drama” o non siano abbastanza divertenti come quelle maschili, solitamente utilizzano l’arma dello slut shaming, aborrono le “cose da donna” (makeup, vestiti ecc.), e vedono queste  preferenze come una forma di superiorità rispetto alla altre ragazze, seguendo inconsciamente e perfettamente gli insegnamenti di matrice patriarcale.

 

L’influenza mediatica

Ovviamente internet ha avuto un ruolo importante nella diffusione di questi meccanismi. Twitter e Reddit sono alcune delle piattaforme in cui, più precisamente nel 2010, esplose questo fenomeno, che si basava principalmente su post, o meglio meme, che recitano: “Esistono due tipi di donne: *ragazza che svolge un’attività considerata inconsueta per una donna* vs * donna che stereotipicamente fa le “cose da donna”*. Queste dicotomie che definiscono le donne e in cui le donne stesse si confinano, ovviamente sono false, essendo una rappresentazione distorta e in assoluto limitata di quello che una donna può scegliere di essere, in quanto una preferenza non esclude l’altra.

 

Noi tutte siamo come le altre

Dopo anni di battaglie femministe e l’innalzamento del “girl power”, è molto raro che vengano analizzati questi fenomeni, così radicati nel nostro modo di pensare e giudicare le altre, che non ci rendiamo conto che non ci può essere nessun “girl power“ senza prima capire il perchè le donne stesse siano le prime ad odiare le donne. Cresciamo ponendoci in costante competizione e giudizio rispetto alle altre, tanto che ci sentiamo legittimate ad attaccarci a vicenda, sempre in funzione di una visione maschile e patriarcale della donna. Serve sicuramente molto lavoro per migliorare questo tipo di fenomeno, partendo sicuramente dall’eliminazione di atteggiamenti moralistici, bacchettoni e ipocriti. Solo così potremmo propendere verso la vera e tanto agognata solidarietà femminile.

L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

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1) Ti sparano

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

2) Ti uccidi

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

Però ci si può chiedere: perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

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IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

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La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

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