COSMO/Musica come manifesto politico

<<Un corpo erotico sbattuto in faccia al gelo di morte del capitalismo e della burocrazia, un ballo sulla carcassa di una società incapace di godere e di organizzarsi per essere felice. Una società che preferisce riempirsi di regole, leggi e divieti. Una società che mette il profitto davanti al coraggio e alla libertà e che ci vuole sempre più inoffensivi.>> così definisce Marco Jacopo Bianchi, in arte “Cosmo”, il suo nuovo album “La terza estate dell’amore”. Un disco che, già dal manifesto, si percepisce essere fuori dalle righe. 

L’autore concepisce l’arte come denuncia e rivoluzione nei confronti degli schemi prefissati e della mercificazione della musica, inneggiando ad una libertà della quale sembriamo quasi aver timore. Rapito da un incipit così suggestivo, ho deciso di analizzare l’album nella sua completezza.

Genere ed impronta dell’autore

L’immagine di copertina è una giusta raffigurazione dell’album: uno scorcio di natura condito di figure umane viene deformato da una cornice quasi psichedelica. Difatti Cosmo non si limita ad osservare la realtà come ci appare, vuole invece approfondire le sovrastrutture e l’idealismo che vi sono dietro alle cose. Per sviscerare le verità dietro alle apparenze decide di utilizzare un stile piuttosto ricercato, che in qualche modo richiama gli echi della poetica futurista di inizio XX secolo.

La metrica dei testi è slegata da ogni classicismo, il linguaggio è prevalentemente analogico, i versi si susseguono in un flusso di coscienza in divenire e solamente il brano “La musica illegale” presenta un vero e proprio ritornello.

“La terza estate dell’amore” si focalizza su sonorità fortemente elettroniche, synth pop, techno con note di glitch. Si tratta di un agglomerato di suoni che trasportano l’ascoltatore in un dimensione di confusione, definibile quasi claustrofobica. L’acustica nuova, più spinta, della prima canzone “Dum Dum” segue poi nei pezzi successivi, rendendo il disco portavoce di una musica pienamente sperimentale. 

La scelta stilistica ed i numeri ottenuti

Nell’intervista prodotta da “Rockol”, egli dichiara di volersi allontanare dai precedenti pezzi semi-pop. Afferma che per seguire il successo sarebbe stato necessario che il suo creato seguisse dei binari, ma ciò provocava in lui senso di costrizione, di assoluto adeguamento agli standard. E’ quindi partendo da questo sentimento che egli concepisce uno stile dove non vi sono regole e non esistono parametri. “Ho lasciato che fossero le canzoni stesse a guidarmi”, “Mi sono sentito come un artigiano al servizio del pezzo, che dovevo aiutare a far venir fuori, a svilupparsi in maniera naturale”.

Il rischio derivante da una scelta così coraggiosa è che il pubblico non apprezzi. Cosmo lo sa, e se ne infischia. Non è più interessato al pubblico che ascolta tormentoni usa e getta, vuole essere libero di mettersi alla prova, sperimentando forme nuove. Ciononostante spera comunque di essere compreso e che il suo messaggio si diffonda, ma la popolarità non è l’obbiettivo. 

I numeri infatti non sono entusiasmanti: una media di circa 150.000 ascolti a canzone, ad eccezione de “La musica illegale” con più di mezzo milione, è una cifra relativamente bassa rispetto agli album precedenti. L’impressione è che il disco debba ancora essere ben “digerito” e che il numero di ascoltatori possa salire considerevolmente una volta superato il primo impatto con questa nuova wave.

 

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La tracklist è la seguente:

1. Dum Dum (3:43)
2. Antipop (4:22)
3. La musica illegale (3:44)
4. Fresca (4:55)
5. Mango (5:13)
6. La cattedrale (4:38)
7. Puccy Bom (4:37)
8. Fuori (feat. Silvia Konstance) (5:30)
9. Gundala (5:01)
10. Io ballo (6:12)
11. Vele al vento (8:06)
12. Noi (4:31)

Dopo aver osservato il quadro generale dell’album, ho deciso di addentrarmi nella poetica di Cosmo analizzando il disco traccia dopo traccia, cercando di carpire i significati ed i concetti ai quali l’autore fa riferimento. 

Dum Dum

La traccia è preceduta da 1 minuto di bassi e batteria, il giusto tempo per immergersi nel film. Ogni verso è alternato dall’onomatopea “Dum dum”, che richiama il frastuono della guerra . “E l’amore risale da sottoterra, e ogni vicolo è già un campo di battaglia”. L’amore è stato calpestato, il sentimento dell’uomo è stato nascosto sotto i nostri piedi, è tempo di riprenderci tutto, di ballare, di “fare festa davanti alla polizia”.

Il finale presenta una scena catastrofica: “Piante rampicanti riprendono la città, sventolano bandiere sulle macerie di quest’epoca stupida, e io ci godo un po’”. L’uomo si è distrutto da solo. Il desiderio di soccombere sull’altro ci ha portati ad annullarci vicendevolmente. Ora solo le piante abitano i centri urbani. 

Antipop

Paradossalmente la più “pop” della lista, ma allo stesso tempo bando della sua critica alla musica commerciale. Tu fai la hit, io torno vergine, fai la hit, è già in vendita, in classifica”. Mentre l’icona pop di turno si preoccupa di aggiudicarsi il primo posto sul podio, Cosmo fa un passo indietro, si distacca dall’ossessione per la fama e torna ad uno stato primordiale, alla ricerca dei valori puri della musica. “Scava, raschia ed esplora al di sotto del livello del mare” mentre la maggioranza è occupata a risalire in superficie per cavalcare l’onda. “È musica, no fabbrica” risuona per tutta la seconda parte della canzone, avanzando una critica cinica ed esplicita.

La musica illegale

Cosmo ed il suo manager hanno pensato ad un modo abbastanza particolare per presentare il disco. Dopo aver annunciato sui social che sarebbe successo qualcosa, il 12 maggio, al circolo Magnolia di Milano ed al Monk di Roma sono stati allestiti impianti acustici che trasmettessero in anteprima la tracklist. L’esperimento portato in scena ha condotto allo stesso risultato dei seguenti versi della canzone: “Dice: “Scusa, cosa fai? Spegni quell’impianto” , al quale l’artista prontamente risponde “Chi si incazza per la musica là fuori, poi si spara tutti i giorni il rombo dei motori”.

Cosmo vuole quindi portare una riflessione sul fatto che la musica nei luoghi pubblici generalmente crei fastidio, mentre il trambusto prodotto dal traffico urbano, al quale siamo abituati, non susciti alcun tipo di disturbo. “La musica è illegale” è anche un richiamo al periodo pandemico appena passato, nel quale ogni forma d’arte che necessitasse di un pubblico dal vivo era bandita. 

Fresca

Finalmente una canzone d’amore. Non è di certo la lirica che dedicherei ad una ragazza, ma che sua moglie, decisamente più abituata a queste dichiarazioni inusuali, deve aver apprezzato.

I versi narrati creano un quadretto familiare di libera interpretazione. Io immagino che L’ex Drink to Me sia solito osservare sua moglie, magari durante i caldi pomeriggi d’estate, e mentre lei dorme immacolata sul divano, lui cerchi di “camminarle incontro” cercando di risolvere i suoi “segreti”.

Che tempi, sì, tutti pazzi. Ma tu ci salvi, sì, tu sei fresca”. Come Clizia per Montale, anche Antonietta per Cosmo è una figura salvifica. L’autore non ricorre ad aggettivi ricercati, ella è semplicemente “fresca”. Cosa vuol dire? Boh. 

Mango

Il non sense è portato all’estremo. Il ritornello ruota intorno alla parola“badabango”, inventata dal figlio. Il bambino è anche la voce di una piccola parte del refrain dove lo si sente farfugliare un motivetto. Piccola nota: si tratta dell’unico “featuring” oltre a quello fatto con Silvia Konstance in “Fuori”. Per quanto assurda, la canzone è orecchiabile ed entra in testa facilmente.

La cattedrale

Non l’ho ancora capita.

Puccy Bom

Esperienza allucinogena. “Forma, smonta, pimpa, pimpa. La macchina, odio la macchina. La grande macchina ci serve, rubiamola”. Il costrutto sociale va smantellato per edificarne uno totalmente nuovo. La “macchina” è causa di guerre tra uomini, di malcontento e fallimenti. E’ il momento di riprendersi le strade, di ballare, di godere dei piaceri alla base degli istinti animali dell’uomo. “Godi, godi, godi un po’ di più. È questa la via, ‘na mezza utopia” è il motivo che incarna la concezione edonista del cantante.

Ti hanno rinchiuso qui. Gatto randagio, ma in gabbia chic”. L’uomo per natura è un essere libero, svincolato da ogni prassi, ma contrariamente a ciò, si lascia imprigionare dalle leggi della “trappola sociale”, preoccupandosi solamente di avere un’apparenza, una “gabbia”, chic. Gli ultimi due versi concludono la critica al sistema con “Come finirà, manco Dio lo sa. Ma il capitalismo, bla, bla, bla”.

Fuori

E’ un dialogo tra conformismo e anarchia. L’uomo ligio alle convenzioni accusa il rivoluzionario di essere fuori di testa. “Mi guardi e pensi “Questo è fuori”. Nonostante ciò, l’uomo non conformato non si lascia scalfire dai giudizi. Ne rimane indifferente. Osserva dall’alto e trae le sue conclusioni, scagliando il medesimo giudizio ricevuto “Vi guardo e penso “Madonna quanto siеte fuori”. Domanda a loro “Che fate? Vivete?” che suggerisce un “O vi preoccupate solamente dell’opinione altrui?”

Gundala

Con “Gundala” Cosmo vuole attraversare tutte le possibilità timbriche, sussurrando versi che vengono storpiati da un effetto “autotune” volutamente errato. Al minuto 1:50 un piano fa da spartiacque alla seconda parte del pezzo, che potrebbe essere considerata una canzone a sé, dove il tono e la base mutano radicalmente.

Gundala è l’unica traccia che non esplora le sonorità techno. La frenesia dei testi precedenti rallenta, si rilassa, in questa canzone che pian piano prende il via con una base relativamente leggera. Lo spazio trascende la realtà e l’autore sembra lasciarci addentrare nel profondo dei suoi pensieri. L’Outro affida al lettore due quesiti esistenziali: “Dove siamo? Dove stiamo andando?”

Io ballo

Esseri umani con la dignità di un animale che non sa cosa siano confini, che non conosce il nome dei luoghi, ma sеnte gli odori, sì, segue lе piste”. Cosmo valorizza ulteriormente l’indole animalesca dell’uomo, cogliendone il dualismo interiore. L’animo è infatti diviso tra la parte buona, borghese e la parte istintiva, viscerale, che siamo propensi a nascondere. Per quanto le istituzioni propongano un’immagine morale ed impeccabile, l’uomo è portato naturalmente a liberare le sue passioni più antiche, “Perché il sacro, la magia, i rituali, le celebrazioni collettive non le sostituiremo mai con il lavoro, la carriera, il successo, la sicurezza, l’igiene”. Allora non ci resta altro che “ballare per cambiare realtà, per tornare bambini”.

Vele al vento

8 minuti di suoni che crescono progressivamente, stratificandosi e sovrapponendosi l’un l’altro. Il cantautore piemontese invoca un “dio del mare”, chiedendogli di “Farci perdere l’idea che abbiamo di noi, lontano dalle leggi degli uomini, senza mappe né padroni”. Si riferisce al lavoro di liberazione da automatismi, logiche e schemi di pensiero che l’autore ha assorbito in questi anni. Egli vuole deformare le concezioni classiche di musica con le quali è stato cresciuto.

Il passato, ancora una volta, è visto come simbolo di purità e portavoce del vero animo umano. “Facci scoprire che abbiamo fatto per duecentomila anni”, “Che cosa abbiamo fatto per tutto questo tempo, come ballavamo, come parlavamo, come scopavamo, cosa inseguivamo”.

Noi

Traccia finale. Assume una direzione più soft, non presentando alcun tipo di glitch e allontanandosi quindi dai suoni forti e turbolenti a cui ci eravamo abituati precedentemente. I rumori disturbanti si risolvono in questa melodia finale, che diventa quindi una sorta di soluzione all’intero album. E’ una fase spirituale in cui l’autore, attraverso un sentimento panico, si riconosce in tutto ciò che lo circonda. “Mi rotolo nel fango, piango, rido, attendo. Appoggio il palmo della mano sul mondo, Sono l’alba, sono un ramo, la radice che sprofonda, Sono donna, sono l’onda”.

Per concludere, dopo aver criticato aspramente il sistema capitalistico e l’ipocrisia della massa, si immedesima nel gregge umano, si riconosce come parte di esso. Suggerisce che le colpe non vadano attribuite agli uomini, perché per quanto liberi di agire, rimangono pur sempre “vittime di questo mondo”. 

La terza estate dell’amore è un viaggio a cui ritengo sia produttivo prendere parte. Si tratta di un manifesto politico cantato. L’evidente utopia comunista su cui poggia questo album non è narrata come una facile meta da raggiungere, viene anzi placata dall’ultimo brano, nel quale l’autore assume un atteggiamento disilluso. 

Lodi e critiche

Per quanto io non sia un assiduo ascoltatore di musica, posso affermare che questo album abbia pochissimi difetti. Quando questi nei sono però scelte stilistiche dell’artista, allora ogni forma di critica diventa fine a se stessa.

L’ostinazione con cui Cosmo ha scritto il disco ha fatto sì che per la prima volta in vita mia io abbia ascoltato musica con l’intento di capire, e non di essere capito. Una volta superata la difficoltà nella decifrazione dei testi, la sequenza corre liscia nelle cuffiette e ci si può immergere in una piacevole escursione tra suoni, idee ed immagini.