LE OSTERIE DI FUORI PORTA/Quando il passato supera il presente

Francesco Guccini è uno dei più noti e apprezzati cantanti d’Italia, ma è anche scrittore, attore, fumettista, glottologo, lessicografo… insomma, un artista a tutto tondo!

Ad averlo reso celebre sono state le sue canzoni, con cui ha ottenuto numerosi premi e riconoscimenti.

Stanze Di Vita Quotidiana:

Uno dei dischi più controversi e famosi di Guccini è Stanze Di Vita Quotidiana, sesto album del cantante modenese, pubblicato nel 1974.

Il disco si compone di sei lunghe tracce malinconiche e introspettive, che rispecchiano la crisi interiore che l’artista stava vivendo in quegli anni.

A tal riguardo, nel 2000, Guccini affermò, riferendosi all’album:

«Lo incisi in situazioni psicologiche difficili. Avevo un produttore, Pier Farri, che mi sballottava da Roma a Milano senza il minimo motivo. Fu terribile».

Canzone Delle Osterie Di Fuori Porta:

Uno dei pezzi più famosi ed apprezzati del disco è Canzone Delle Osterie Di Fuori Porta, un inno ai tempi passati in cui ancora le osterie erano luogo di ritrovo e di comunione. Ora, dice il cantante, quei locali sono rimasti gli stessi, ma la gente che le animava è tutta scomparsa:

Sono ancora aperte come un tempo le osterie di fuori porta
ma la gente che ci andava a bere fuori o dentro è tutta morta
qualcuno è andato per età, qualcuno perché già dottore
e insegue una maturità, si è sposato, fa carriera ed è una morte un po’ peggiore.

Con un io poetico che irrompe spesso all’interno della canzone, Guccini confronta la spensieratezza passata con il momento presente di grande crisi spirituale, rivolgendosi ad un’indefinita persona che lo ha conosciuto prima della fama:

Sono più famoso che in quel tempo quando tu mi conoscevi
non più amici, ho un pubblico che ascolta le canzoni in cui credevi
e forse ridono di me, ma in fondo ho la coscienza pura
non rider tu se dico questo, ride chi ha nel cuore l’odio e nella mente la paura.

Di questa popolarità che ha guadagnato, l’artista dà un’immagine prettamente negativa, ricordando la brevità della vita e, ancora di più, la vanità della fama:

Ma non devi credere che questo abbia cambiato la mia vita
è una cosa piccola di ieri che domani è già finita
son sempre qui a vivermi addosso, ho dai miei giorni quanto basta
ho dalla gloria quel che posso, cioè qualcosa che andrà presto, quasi come i soldi in tasca.

In varie parti della canzone, Guccini analizza il tempo presente, e si può notare come ben poco sia cambiato da allora. Ancora oggi, infatti, rimane lo stesso odio generalizzato e la stessa rabbia crescente che affollava le strade ai tempi del cantante:

Ma le strade sono piene di una rabbia che ogni giorno urla più forte
son caduti i fiori e hanno lasciato solo simboli di morte
dimmi se son da lapidare se mi nascondo sempre più
ma ognuno ha la sua pietra pronta e la prima, non negare, me la tireresti tu.

Prima di concludere la canzone riprendendo la strofa iniziale, Guccini esprime tutta la sua desolazione per le difficoltà che sta attraversando. Le utopie che aveva prima, quelle che avevano permeato i suoi primi dischi, sono svanite. I giorni passano tutti uguali, a ripetere sempre le stesse azioni, e ormai il cantante non vuole più essere definito poeta:

Io ora mi alzo tardi tutti i giorni, tiro sempre a far mattino
le carte, poi il caffè della stazione per neutralizzare il vino
ma non ho scuse da portare, non dico più d’esser poeta
non ho utopie da realizzare: stare a letto il giorno dopo è forse l’unica mia meta.