#ShareTheStory/ Il Paese della Pioggia, Capitolo Secondo

di Alberto Zali

– Bentornati con ShareTheStory, la rubrica di Sharing che consente a tutti coloro che hanno una storia o un racconto nel cassetto di pubblicarlo direttamente sul nostro sito! Questo sabato vi proponiamo la lettura del secondo capitolo de “Il Paese della Pioggia”, libro inedito di Alberto Zali, di cui precedentemente abbiamo pubblicato il Prologo ed il Capitolo Primo. Non dimenticate di mandarci anche le vostre storie. Buona lettura!

CAPITOLO SECONDO

È quasi un’oretta che ho preso questo sentiero. Le montagne incombono su di me ancora più enormi, mentre al contrario il villaggio si fa gradualmente sempre più piccolo, fino a sparire dietro una collinetta che ne copre la visuale. Alla fine il nonno si è detto d’accordo con la mia decisione, e mi ha dato la sua benedizione per la partenza. La vegetazione si fa più fitta e ora un manto di foglie rosse oscura il cielo in uno spettacolo di colori mozzafiato. Le goccioline si addensano sulle radici degli alberi, mantenendo la propria forma semisferica mentre lentamente scivolano verso il terreno. Qua e là il terreno appare ricoperto da una sostanza soffice dal colore verdastro. Me ne aveva parlato tempo fa Luigi, che vive più a nord, là dove inizia il Bosco del Divieto, ma credevo fosse solo per impressionarmi. Povero ragazzo, non deve essere facile per lui camminare ogni mattina per quasi due ore per sentieri impervi solo per andare a scuola. Alcune piante che non avevo mai visto prima d’ora si arrampicano lungo i tronchi degli alberi, in cerca della poca luce che filtra attraverso le chiome degli alberi. Si potrebbe pensare che li stiano stritolando o, in una visione più dolce, abbracciando per dimostrargli la loro gratitudine. Del resto quelle piante rampicanti non potrebbero vivere senza avvinghiarsi ai tronchi degli alberi e sollevarsi verso il cielo.

 

Continuo a camminare ma non so di preciso dove devo andare. Il nonno mi ha detto di dirigermi a nord. Ma non so di preciso dove sia. Mi ripeto che andando verso nord prima o poi scorgerò la capanna di Luigi, ma ancora non ve n’è traccia. Dopotutto può anche darsi che, con tutti questi arbusti, l’abbia già sorpassata senza notarla. Ma mi rassicura la presenza di tutti questi cuscinetti verdi che ricoprono il terreno. Sono abbastanza sicuro di essere sulla strada giusta. Ne tocco uno per sentire che consistenza abbia. È molto umido, eppure non sembra essere toccato dalla pioggia. Non è zuppo… è solo un po’ fresco, come un panno appena lavato messo ad asciugare. Chissà che non mi tornino utili quando finirò le provviste, magari sono commestibili, mi dico.

 

Passo dopo passo, vedo che il bosco si fa meno fitto. Riesco ad intravedere spicchi di cielo che fanno capolino tra le cime degli alberi e qualche goccia torna a bagnarmi i capelli. Faccio per tirarmi su il cappuccio quando sento uno strano rumore riecheggiare fra i cespugli. L’ho già sentito all’allevamento dello zio Guido. Come mi muovo sento di nuovo quel rumore e questa volta è molto più vicino. Sono abbastanza sicuro di aver capito di che animale si tratti. Un maiale, come potrebbe essere altrimenti? Il suo grugnito, sebbene abbia un qualcosa di diverso – forse è il verso dei maiali di bosco -, è inconfondibile. E dove c’è un maiale, di certo c’è anche un allevamento. E questo può solo voler dire che sono vicino alla civiltà. Mi muovo in direzione dell’animale. Posso vedere le sue impronte sul terreno fangoso.

 

Un altro grugnito. Questa volta è dietro di me, quel furbastro è riuscito ad aggirarmi. Mi giro di scatto e faccio per agguantarlo. Mi ritrovo davanti ad un abominio, un vero e proprio mostro. Questo non è di certo un maiale! La carnagione rosata è ricoperta da una ruvida pelliccia marrone. Il muso, più allungato rispetto a quello di un maiale, culmina in due corna ricurve che danno l’idea di poter squarciare qualsiasi cosa. E poi quegli occhi. Quegli occhi piccoli ed iniettati di sangue in cui riesco a vedere riflessi i miei, sono pieni di rabbia e qualcosa, non so nemmeno io cosa, mi spinge a correre lontano, il più lontano possibile. Se sono queste le avventure di cui mi parlava il nonno, beh, allora non ci tengo proprio a viverle. Mai e poi mai avevo vissuto un’esperienza così terribile. Mi volto per vedere se c’è ancora quel coso ad inseguirmi, ma penso di averlo seminato.

 

Il terreno è totalmente ricoperto da impronte, e mi sento prendere da un senso di angoscia quasi insopportabile. Che stia girando in tondo da diverse decine di minuti, forse da ore? Sarà mai possibile che mi sia perso, che sia questa la sorte che tocca a coloro che si avventurano per questi boschi? Però c’è anche un’altra possibilità. Le impronte sono diverse da quelle che ho visto prima, e questo basta a rassicurarmi e a spingermi a proseguire lungo questa strada un po’ più a cuor sereno.  Chissà se c’è qualcun altro nei paraggi oltre a me. Magari questo luogo non è disabitato come molti dicono. Che siano gli elfi? Da bambino mi leggevano molte favole che parlavano di questi mitici abitanti delle foreste, che fin dall’alba dei tempi proteggono l’essenza della natura. Alcune fiabe li descrivono come esseri minuscoli, altre come persone altissime e snelle, con una folta chioma bionda e due zaffiri azzurri incastonati al posto degli occhi. Un po’ come doveva essere il nonno da giovane insomma, e pensandoci abbozzo un sorriso. Rido di me stesso, per quanto sono sciocco. Probabilmente si tratta di qualche eremita, qualcuno che ha scelto di vivere lontano dalla civiltà. Non può essere altrimenti.

 

Si è fatto buio e il vento inizia a tirare con forza. Ho il timore che possa scoppiare una tempesta. Controllerò quanto manca per raggiungere le montagne arrampicandomi su un albero. Del resto non deve essere molto più difficile che arrampicarsi su una pertica, il gioco preferito da me e dai miei amici. Anzi, non è da escludere che sia addirittura più facile. Posso sempre agevolare la mia scalata aggrappandomi a qualche ramo, a mo’ di scimmia.

 

La corteccia è ruvida al tatto, e ogni tanto qualche scheggia di legno mi lacera la carne provocandomi un dolore pungente. Appena sarò sceso pulirò e disinfetterò le ferite. Stringo i denti e non mollo la presa. Manca poco alla sommità e ogni tanto approfitto di qualche ramo più robusto degli altri per appollaiarmi e riprendere fiato. La scalata è dura, molto più impegnativa di quanto mi aspettassi. Ora che ci penso quando mi esercitavo con la pertica non superavo mai le dieci braccia di altezza. Mi dico che è stata la forza della disperazione a spingermi fin quassù. Riprendo la mia scalata, e la fatica che provo si fa indescrivibile.

 

Eccomi finalmente in cima. Posso fermarmi a riposare, appollaiato sul ramo più alto, ancora sufficientemente robusto per sostenere il mio peso. Smuovo le foglie e cerco di capire dove mi trovi esattamente. La vista, abituatasi al buio della foresta, fatica ad affrontare la luce del giorno. A poco a poco inizio ad intravedere verso destra il profilo delle montagne. Sono ancora lontane. Non troppo però, con ogni probabilità si trovano solo ad un giorno di marcia. Non c’è traccia invece del mio villaggio, segno che mi sono allontanato parecchio. Adesso posso anche riposarmi.

 

Faccio per scendere. Abbasso il capo per spostarmi su un ramo sottostante quando un tuono mi rimbomba nelle orecchie e una luce intensissima mi priva per qualche momento della vista. E basta quel niente per farmi appoggiare male il piede e piombare giù da parecchi metri di altezza. È un attimo e mi ritrovo a terra, con le ossa che mi fanno così male da voler urlare per il dolore. Ho come l’impressione che la schiena mi si sia spezzata in due e la mia testa sembra poter esplodere da un momento all’altro. Una prima sensazione di freddo lascia subito spazio ad un calore infernale che non riesco a sopportare. Spalanco gli occhi e vedo le fiamme avanzare tutto intorno a me. L’albero su cui mi ero arrampicato ora brucia come un’enorme torcia, e sta appiccando il fuoco a tutta la vegetazione circostante. È mancato un niente che il fulmine mi colpisse.

 

Cerco di rialzarmi ma il mio corpo non risponde. Provo un qualcosa di terribile. Non mi sarei mai dovuto arrampicare su quell’albero, non mi sarei mai dovuto mettere in viaggio. Nonostante le raccomandazioni dei miei circa i pericoli delle montagne ho scelto di fare di testa mia. Fa caldo, sempre più caldo. Le fiamme mi hanno già raggiunto, o comunque poco ci manca. Se sopravvivrò non dimenticherò mai più quanto accaduto oggi, lo racconterò ai miei figli e ai miei nipoti, per tenerli lontani dai pericoli. Se sopravvivrò, ma tutto mi dice che non sopravvivrò… Chiudo gli occhi e aspetto che il mio destino si compia. Mi pare di sentire una voce. Assomiglia a quella di mio padre. Un giorno lo rincontrerò, mi ripeto, finché il buio offusca completamente i miei pensieri.

 

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