Comunicazione/Cambiano i modi ma anche le parole

di Beatrice Molfino

-Ogni giorno comunichiamo. I messaggi pubblicitari che insistono attraverso gli schermi delle nostre televisioni, lo sguardo di un passante per strada, un volantino incastrato su un parabrezza impolverato, una canzone sentita per caso dal parrucchiere, una carezza di una persona cara, ci comunicano qualcosa.


Infatti il verbo stesso comunicare, dal latino “communico“, mettere in comune, implica la condivisione di informazioni, sentimenti o immagini.

Come comunichiamo?

Sebbene pensando al “comunicare” risulti spontaneo collegarvi l’idea del “parlare”, soprattutto al giorno d’oggi il linguaggio verbale riguarda solo una parte del nostro modo di esprimerci.
Alcune statistiche mostrano infatti che solo per il 7% utilizziamo la lingua parlata per trasmetterci un messaggio. Mentre sono l’intonazione con cui formuliamo una frase, o ancora di più la nostra gestualità, ad avere il ruolo più importante.
Una semplice occhiata, molte volte, comunica molto più di tante parole.

Nuove vie di comunicazione

Oggi, invece, vi sono molti nuovi modi di interagire. WhatsApp, Facebook, Instagram, Twitter prendono molte volte il posto di parole, voce o gesti. Con una foto, magari un po’ ritoccata con photoshop, diamo un’immagine di noi, che forse pur non corrispondendo del tutto alla realtà, ci rappresenterà davanti a tutto il mondo dei social.
Una dichiarazione d’amore è molto più semplice se fatta tramite un SMS, magari con tanto di frase “Tumblr” e l’emoji del cuore rosso, ma può questo sostituire uno sguardo, un bacio un o abbraccio?
Se prima, per complimentarci con un amico per un successo, dovevamo incontrarlo, o almeno chiamarlo o scrivergli, adesso basta mettere “mi piace” alla sua ultima foto su Facebook.

Le “new entry” nello Zingarelli 2017

E così nuove parole, coniate dal mondo dei social, entrano a far parte non solo della lingua italiana, ma dal 2017 anche dello Zingarelli. Quest’anno tra le parole aggiunte vi sono infatti anche termini come “emoji” la celebre icona usata nella messaggistica istantanea, che con un piccolo simbolo può raffigurare, oggetti, animali e addirittura sentimenti e stati d’animo. O ancora incontriamo il verbo “trollare” che significa appunto offendere e perseguitare sui social.
Sempre nello Zingarelli fanno il loro ingresso termini derivati dal gergo giornalistico come “bullizzare” o “euroburocrazia” (ovvero l’insieme degli organismi amministrativi e dei funzionari dell’Unione Europea). Dal mondo della moda arriva invece l’aggettivo “pitonato”, mentre dall’universo culinario, di Masterchef e Realtime sostantivi come “impastatrice planetaria”.
Vi sono poi termini del parlato comune come “piacionismo”, l’atteggiamento tipico dei piacioni, o l’espressione “parlare strascicato”.
Sono invece rimasti esclusi alcuni termini segnalati dall’accademia della Crusca, celebre l’aggettivo petaloso usato per la prima volta da un bambino.

Una lingua in evoluzione

Sempre più diffuse sono poi alcune espressioni usate soprattutto da noi giovani, le quali dominano ormai il nostro linguaggio di tutti i giorni.
Un ragazzo non si dice più “bello” ma “figo”, una cosa non “va bene” ma “ci sta”, e quando ci andrà tutto storto non esclameremo certo “che sfortuna!” ma piuttosto “che sfiga!”.
Dal mondo del celebre Netflix e delle serie tv abbiamo invece coniato termini come “spoilerare” (svelare il finale) o ancora “shippare” (dall’inglese relationship, sperare in una storia d’amore tra due personaggi).
Vi è poi il celebre “hashtag”(si fa precedere una parola, un verbo o un aggettivo dal “cancelletto” #) che ritroviamo, non solo sui social, ma anche nei testi di canzoni e nel nostro vocabolario di tutti i giorni.

Insomma il nostro modo di comunicare sta cambiando, e con esso di giorno in giorno anche la nostra lingua, ma cosa accadrà alle parole italiane che stanno ormai cadendo in disuso? Lo Zanichelli ne ha segnalate alcune che devono essere conservate. Tra esse termini come “obsoleto”, “ingente”, “leccornia” o “diatriba”. Difatti molte volte siamo portati a sostituire vocaboli come questi con sinonimi più semplici ma meno espressivi. Tuttavia è proprio qui che risiede la peculiarità della lingua italiana: nella ricchezza semantica delle sue parole, la quale è introvabile in altre lingue.