La banalità del male 

di Federica Magro

50 anni dopo il fatidico processo di Adolf Eichmann, il male sta tornando ad impossessarsi della Terra. Come se durante questi 50 anni non ci fossimo minimamente evoluti. Così, il libro di Hannah Arendt sembra essere più contemporaneo che mai.Il titolo originale è “Eichmann in Jerusalem – A report on the banality of Evil”, in italiano è stato tradotto come “La banalità del male”.

Sostanzialmente si tratta del diario dell’autrice sulle sedute del processo ad Adolf Eichmann, gerarca nazista rifugiato nel 1945 in Argentina, e catturato nel 1960 dagli israeliani. Processato per genocidio nel 1961 a Gerusalemme, e condannato a morte per impiccagione.

Hannah si pone delle domande. Come si puo non riconoscere il male anche di fronte all’evidenza più assoluta? È possibile trovarsi estremamente nel torto e reputarsi nel giusto? Questo nostro giudizio interiore è uguale per tutti? Il pensiero è uguale per tutti? Il pensiero puo avere un’etica?

“Era come se in quegli ultimi minuti egli ricapitolasse la lezione che quel suo lungo viaggio nella malvagità umana ci aveva insegnato la lezione della spaventosa, indicibile ed inimmaginabile banalità del male.” Così la scrittrice conclude che il male effettuato da Eichmann fosse dovuto non ad un’indole maligna, ma ad una profonda inconsapevolezza di cosa significassero le proprie azioni.

Il male è un incapacità di pensare, di riflettere anche solo per un istante. Si riuscirà a giungere ad una soluzione? Quello che manca è il giudizio di distinguere tra il bene e il male. Ma esistono un bene e un male universali? Puo essere di no, ma “Riflettere su ciò che stiamo facendo” dovrebbe sicuramente essere un obiettivo filosofico da realizzare nella nostra quotidianità.

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