Perchè ci piacciono i cattivi? Una riflessione nell’epoca di Breaking Bad

di Carlotta Desirello

– Siamo arrivati al termine de #LaSettimanaDeiCattivi, durante la quale vi abbiamo proposto articoli che riflettessero appunto sulla figura dei “cattivi” al fine di capire cosa ci attrae di loro. Venerdì 17 novembre, la redazione di Sharing è infatti stata invitata ad assistere al workshop: “Perché ci piacciono i cattivi? Etica ed estetica all’epoca di Breaking Bad”, presso la sede della IULM di Milano. L’incontro è stato interessante e coinvolgente: sono intervenuti tre esperti che hanno offerto diversi spunti di riflessione.

IL FASCINO PER I CATTIVI È LEGATO ALLA NOSTRA SOCIETÀ?

Massimo De Giuseppe, docente di storia contemporanea, ha proposto una panoramica storica dal termine del XIX secolo a oggi, con lo scopo di evidenziare come sono cambiati i valori all’interno degli stati. De Giuseppe ha spiegato che, durante il passaggio dal ‘800 al ‘900, le nazioni si sono impegnate a fornire, con l’ausilio dei media, una idea di eroe molto radicata a cui ogni cittadino si potesse ispirare. Ad esempio, tramite il libro “Cuore”, i ragazzi italiani s’identificavano con coloro che donano la propria vita per la patria. In seguito, ha mostrato come, nel corso del ‘900, si sia più volte ribaltata l’idea dell’eroe e dell’antieroe finché, a partire dagli anni ’80, la dimensione criminale ha acquisito una visibilità significativa.

Alla luce di tutto questo, l’esperto si è chiesto se l’attrazione per la figura del cattivo non sia, in realtà, solo un fascino subliminale all’interno di stati fragili, privi di un progetto pedagogico, dove, senza un’imposizione di un modello, si sono persi i valori di riferimento.

L’ANTIEROE E COME CI RICONOSCIAMO IN ESSO

La docente di televisione Daniela Cardini ha invece analizzato la figura dell’antieroe in riferimento alle serie tv. Questi è spesso il protagonista della storia e, proprio perchè moralmente imperfetto, ha debolezze, sensi di colpa che ci accomunano. I suoi comportamenti, ad esempio, sono frutto di situazioni complesse, spesso legate alla famiglia. È inoltre caratterizzato da una complessità morale che pone lo spettatore in una posizione ambigua nei suoi confronti, in quanto prova vicinanza verso di lui, ma può anche entrarci in conflitto, nel momento in cui riflette sulle conseguenze che tali azioni immorali possono avere nella vita reale. Non bisogna confonderlo col “cattivo”, un personaggio stereotipato, o col rough hero (il malvagio) che è pericoloso e psicopatico.

Secondo l’esperta, perché amiamo gli antieroi quindi? Innanzitutto, a suo parere non ci immedesimiamo in essi, bensì ne condividiamo certi atteggiamenti in un determinato momento. Analizzando la serie tv “Gomorra”, ha dimostrato difatti come i comportamenti dei personaggi e le loro relazioni, ad esempio il rapporto madre e figlio o il legame paterno che può crearsi tra un adulto e un ragazzo, seguano la stessa logica dei nostri, però con valori morali diversi. La maggior parte di noi spettatori si riconosce in essi non perché vogliamo imitare i loro comportamenti, bensì perché comprendiamo che i criminali hanno delle caratteristiche simili alle nostre, ossia – in primis – sono umani; e la docente non considera pericolosa questa risonanza emotiva.

LA VALORIZZAZIONE DEI PUNTI DI VISTA

Paolo Giovannetti, esperto di letteratura italiana, ha anche lui mostrato come lo spettatore, tramite la maniera con cui i media e il cinema raccontano la realtà, colga rapporti autentici dentro un contesto non autentico, perché, a partire fine ‘800, è iniziato un fenomeno mediale che valorizza i diversi punti di vista, rivelando dunque nuovi aspetti del mondo. Non considera sbagliato apprezzare gli antieroi o commuoversi se ad esempio muoiono, dal momento che, come detto in precedenza, anche il loro universo è caratterizzato da forti valori.

E secondo voi perché ci piacciono i cattivi? Siete d’accordo con gli esperti?

Inoltre, l’incontro ha suscitato in me tre questioni che mi piacerebbe porvi: esistono veramente modelli assoluti di bene e male e possiamo effettivamente definire una persona buona o cattiva? Lo stereotipo di eroe che segue degli ideali di giustizia, senza tener conto delle sfaccettature emotive, è l’esempio che ci ispira? E, se la differenza tra le persone che definiamo “buone” e gli antieroi consiste solo nel contesto storico, sociale, ambientale o familiare in cui sono nati e vissuti, non possiamo forse considerare tutti, nel profondo, antieroi?