Di Elisa

“E perché io debbo dunque, o mia patria, accusarti sempre e
compiangerti, senza niuna speranza di poterti emendare o di
soccorrerti mai?” scrisse Ugo Foscolo nel 1802 quando le “Ultime
lettere di Jacopo Ortis” furono pubblicate per la prima volta. Ma di
fatto questa potrebbe perfettamente essere una domanda posta proprio
da uno di noi, da un giovane ragazzo degli anni 2000, amareggiato, non
rassegnato, ma di sicuro profondamente frustrato dalla grigia società
italiana nella quale è cresciuto.
Si, perché la nostra è un’Italia affranta, logorata dalla crisi,
divorata dalla disorganizzazione.
E questi giovani sono costretti a vivere l’importante passaggio dal
famigliare ambiente scolastico, all’ignoto del mondo universitario e
lavorativo, in modo angoscioso.
Nessuno assicura un futuro. Nessuno promette la felicità della realizzazione.
Ecco che, oggi il 36,7% degli italiani tra i 18 e i 34 anni, secondo
il rapporto “Italiani nel mondo 2016” della Fondazione Migrantes,
decide di tentare la sorte e migrare all’estero. E tutti i giovani
neolaureati e neodottorati, sono anch’essi costretti a lasciare la
madre patria che non riconosce loro i meriti che gli spettano dopo
tanti anni di studio e di sacrificio. Una “fuga di cervelli”?
Sicuramente. Ma non solo. Qui si tratta del timore della gioventù
italiana di non riuscire a risolvere le questioni politiche, sociali
ed economiche che hanno devastato generazioni di genitori e di nonni.
Troppe volte non abbiamo affrontato vis à vis le difficoltà
della vita, abituati a nasconderci dietro ad uno schermo oppure ad una
maschera fatta di superficialità. Così evitiamo il problema
rifugiandoci in Paesi che non saranno mai nostri e ai quali mai
apparterremo. È davvero la scelta giusta vivere da esuli e assistere
incapaci di intervenire al naufragio della nostra Italia, che trascina
negli abissi tutti i suoi passeggeri?