Morto Dj Fabo/La libertà dell’eutanasia

di Caterina

– Ieri mattina Fabiano Antoniani, dj Fabo, ha deciso di mettere fine alla sua vita dopo essersi sottoposto all’eutanasia attiva.

CHI ERA?
Fabo era un dj milanese molto conosciuto, che ha animato diverse serate nella città fino a quando, di ritorno da una festa, rimane coinvolto in un terribile incidente stradale che lo vede sbalzare fuori dalla sua autovettura. Viene trasportato subito in ospedale, ma ciò non riesce ad impedirgli un triste destino: tetraplegico e cieco.
Questa condizione lo costringerà immobile in un letto fino all’arrivo in Svizzera.

L’APPELLO ALLO STATO ITALIANO.
Dj Fabo, prima di decidere di andare in Svizzera, aveva mandato un appello alle istituzioni, affinchè intervenissero per regolamentare l’eutanasia.
Viene supportato in questa sua “battaglia pubblica” dalla Associazione “Luca Coscioni”, in particolare dal tesoriere Marco Cappato, che Fabiano ringrazierà più volte nel suo ultimo messaggio su Twitter, e Filomena Gallo, segretaria dell’associazione.
Il suo appello, come già successo a molti altri, non viene ascoltato e si vede costretto ad emigrare per ottenere l’eutanasia.

LA MORTE
Dopo essere arrivato in Svizzera con le sue forze e senza l’aiuto del suo Stato, viene accompagnato da Cappato in una clinica specializzata per ottenere il suicidio assistito, qui ha morso un pulsante per attivare l’immissione del farmaco. Fabo è morto alle 11:40.
Il tesoriere ha annunciato che si sarebbe autodenunciato al suo rientro in Italia. Il reato sarebbe di “aiuto al suicidio” e rischierebbe dodici anni di carcere.
Poco dopo la sua morte, in molti hanno fatto richiesta anche per l’Italia la possibilità del suicidio assistito, in modo che nessun’altro fosse costretto ad una morte esiliata e permettere a ciascuno di essere libero fino alla fine.

E TU SEI D’ACCORDO CON L’EUTANASIA?
Non tutti però sono d’accordo con la scelta fatta da Fabo. “Ogni volta che si pone termine ad una vita, o ci si propone di farlo, è sempre una sconfitta” ha detto Monsignor Paglia, egli la definisce una sconfitta amara sia per chi si decide a compiere questo atto estremo, sia per una società ormai rassegnata all’impotenza.
C’è anche chi definisce l’associazione Luca Coscioni come un’opera di sciacallaggio.

L’eutanasia non è la risposta al dolore. Non è segno di fratellanza o solidarietà aiutare qualcuno a morire, che sia per malattia o disperazione o qualunque altro motivo. Non è così che si aiutano la persone, non è assistendole in questa scelta che li si aiuta.
Certo il dolore e tutti i sentimenti e le situazioni che ti portano a formulare il desiderio di compiere quell’ultimo liberatorio gesto, non si possono cancellare, ma non ci si deve neanche lasciare sopraffare, sarebbe troppo facile se come risposta ad ogni forma di sofferenza ci fosse l’eutanasia.