La moda può servire alla rivoluzione?

di Adelaide Guerisoli

– “L’arrivo di una rivoluzione si vede dagli abiti”. Lo diceva Diana Vreeland, un’icona del fashion system,che con la sua forte personalità ha lasciato il segno nella storia.

LE GRANDI CHE HANNO CAMBIATO IL MONDO

Non c’è nulla di più vero, il mondo della moda è sempre stato il primo sintomo dei cambiamenti storici: basta pensare alla stilista Coco Chanel che, tagliandosi i capelli e creando una linea di abiti da donna “comodi” (grazie a lei le donne cominciano ad indossare i pantaloni), ha rappresentato con colori e tessuti quella che avrebbe preso il nome di emancipazione femminile.
Allo stesso modo a Mary Quant va attribuito il merito di aver introdotto negli anni ’60 la minigonna, che dando ispirazione a giovani e adulte ha dato vita alla nascita di piccole e grandi rivoluzionarie.
La moda è stata anche elemento di fusione con stili e opere d’arte, che hanno reso profondo un concetto che è sempre stato definito superficiale. Elsa Schiapparelli è riuscita a fondere moda e arte, riuscendo a creare collezioni che riprendevano i tratti di Dalì e Oppenheim, mentre l’inglese Vivienne Westwood è stata l’artefice di creazioni che univano Haute Couture e Punk, sfruttando i tessuti pregiati e il commercio internazionale per farsi carico anche di temi politici e sociali, come i diritti civili e i cambiamenti climatici.

UNO STILE MOVIMENTATO

Nel corso degli anni lo stile ha accolto diverse forme, dai colori pastello e le forme femminili degli anni ’50 alle gonne corte e alle fantasie geometriche degli anni ’60, dai fiori degli anni ’70 alle spalle grosse degli anni ’80, fino al nero minimale degli anni ’90. Si pensa che ormai la moda abbia preso una posizione stabile, che non stupisca più come una volta, ma a giudicare dalle passerelle e dalle idee degli stilisti di quest’epoca il mondo ha ancora bisogno di rivoluzioni.
Le nuove collezioni hanno preso la forma di un pianto unisono, una voce corale che urla e protesta. Magliette con logo, campagne di sensibilizzazione che al contempo sono pubblicitarie, simboli rivoluzionari presi dal passato: tutti i particolari sono curati nel minimo dettaglio per dare la possibilità ad ognuno di dire la propria.

UNA RIVOLUZIONE AL FEMMINILE

Il 2017 è l’anno del femminismo. Ne è un esempio Missoni, che a Milano ha fatto sfilare circa quaranta modelle con l’ormai famoso “pussy cap”, il cappellino rosa che è diventato il simbolo della protesta contro il nuovo presidente americano Trump e la sua politica; anche Dior, che ha disegnato una linea di t-shirt con slogan femministi, ha deciso di schierarsi dalla parte delle donne.
Inoltre questo mese è dedicato all’anniversario dell “Equal Pay Day”, simbolo della lotta per l’uguaglianza di stipendio tra i due generi. Per questo tutto il mondo è incoraggiato a indossare il rosso come simbolo del “deficit” che ancora dista tra donne e uomini.
La rivoluzione della moda non si ferma qui. Se quello passato è stato l’anno del “see now buy now”, questo è quello della moda “co-ed”, che unisce la sfilata maschile con quella femminile, dando vita a collezioni uniche ma multiformi, che hanno lo scopo di rappresentare la trasformazione di una mentalità chiusa e matematica.
Prima che quest’anno si concluda la storia può ancora cambiare, e con lei i costumi di quest’epoca che non smette mai di rinnovarsi, apportando continuamente modifiche e perfezionamenti, facendo talvolta un passo all’indietro, talvolta un passo in avanti, ma mostrandosi sempre in tempo per rimediare ai danni compiuti.