THE HANDMAID’S TALE/Una storia vera in un mondo immaginario

Per i fan delle serie televisive, questo non è stato un anno di grandi soddisfazioni. Le restrizioni legate alla pandemia hanno inevitabilmente fermato la produzione della maggior parte dei programmi tv. Così l’appuntamento di settembre che normalmente vede l’uscita delle attesissime “nuove stagioni” è stato rimandato, lasciandoci in attesa ancora per qualche mese. 

L’inizio dell’estate, però, ha visto la ripresa di alcuni dei maggiori successi di Netflix, come Lucifer ed Elite, che si concentrano su temi leggeri e mirano a intrattenere più che a far riflettere. Di tutt’altro genere è The Handmaid’s Tale, serie tv di Hulu che ha fatto il suo debutto sugli schermi del 2017. Tra le decine di nuovi programmi che vengono proposti ogni anno, sono pochi quelli che davvero lasciano il segno, e questa serie è riuscita senza dubbio in questo intento. 

La serie

Il programma, vincitore di una lunga lista di Emmy e Golden Globes, è stato un enorme successo fin dai primi episodi. È una sorta di moderno 1984: un romanzo di denuncia sociale che sfrutta un immaginario futuro distopico per mettere luce su questioni attuali. Effettivamente, la serie sembra portare agli estremi le conseguenze di un governo con idee misogine e intolleranti. Che poi abbia debuttato a pochi mesi dall’elezione del presidente Donald Trump, non sembra essere esattamente una coincidenza.

La storia è ambientata in un futuro non ben definito a Gilead: ciò che resta degli Stati Uniti d’America a seguito di un violento conflitto mondiale. La popolazione umana sembra essere destinata a estinguersi a seguito di un drastico aumento dell’infertilità. La soluzione che il governo del nuovo Stato propone è una via autoritaria che prevede lo sfruttamento di quelle poche donne che ancora possono avere figli, in nome della sopravvivenza della specie umana. June è una di queste donne, le cosiddette “ancelle”.

Le prime tre stagioni della serie hanno raccontato i soprusi ai quali il governo patriarcale di Gilead ha costretto la sua popolazione. Le donne non possono leggere, non possono dire la loro, chi è ancora fertile è soggetta a brutali violenze. Sono molte le scene di estrema violenza che vengono raccontate, e man mano che gli episodi si susseguono si comprende che il supporto per il regime è estesissimo. Per ogni violenza c’è qualcuno pronto a giustificarla in nome di un bene superiore. La fede ha accecato quasi tutti: sia chi detiene il potere, sia chi è vittima di irripetibili soprusi. 

La quarta stagione

Dopo una lunga lista di episodi che vedono susseguirsi solo dolore, speranze infrante e tentativi di fuggire falliti, era giunto il momento di un cambiamento radicale, e la quarta stagione tiene fede a tutte le sue promesse.

Ciò che ha reso The Handmaid’s Tale una serie di straordinario successo è stata la sua capacità di raccontare storie vere e sentite, pur basandosi su un universo totalmente diverso dal nostro. Il rapporto col regime è complesso: c’è chi diffida di tutti, chi si convince che sia giusto fare la propria parte, chi combatte con le unghie e con i denti per mantenere quel briciolo di libertà che sa di meritare. Se negli anni passati si è vista ogni sfumatura del dolore provato dai protagonisti, il 2021 ha presentato un lato diverso dei personaggi: la rabbia.

Una serie psicologica

La protagonista è finalmente fuggita da Gilead e si è riunita con la sua famiglia in Canada. Ora è libera e senza un nemico contro cui combattere. Dall’altra parte del confine, però, il governo continua ad agire indisturbato. June e le altre donne che si sono salvate con lei sono poste davanti a un bivio: vivere la loro nuova vita serenamente, oppure continuare a combattere. Il trauma del loro passato, poi, sembra non lasciare alcuno scampo. 

I personaggi principali sono stati lodati per la loro complessità: gli eroi non sono più personaggi perfetti, capaci di rialzarsi dopo ogni sconfitta, di perdonare sempre e comunque. Poste davanti alla richiesta di perdono dei loro oppressori, le protagoniste decidono di dire no. Di non accettare qualche lacrima e un minimo senso di colpa come redenzione per crimini atroci, che hanno rovinato le vite di migliaia di persone. 

Elisabeth Moss, attrice interprete della protagonista, offre una delle migliori performance degli ultimi anni, portando sullo schermo un personaggio pieno di sfaccettature, che non si limita al ruolo di madre. Se il finale della terza stagione aveva visto June rinunciare alla possibilità di salvarsi per continuare a stare accanto alla sua prima figlia, ancora prigioniera di Gilead, ora la situazione è cambiata. L’amore di madre non può bastare a colmare il desiderio di vendetta e di giustizia.

Uno dei grandi meriti della serie è quello di essere riuscita a dare alle donne protagoniste una struttura tridimensionale: non solo vittime, non solo personaggi passivi in un mondo che si basa sul loro sfruttamento. Perdonare – sembra voler comunicare la serie – non è sempre liberatorio. June, pur vivendo in una dimensione irrealistica, soffre dello stesso dolore di chi oggi, nel nostro mondo, è vittima di violenze ed è ridotta a oggetto sessuale. Superare il trauma di una violenza non è facile, soprattutto quando ci si sente soli in questo percorso.

La vendetta

Quando June si rende conto che neanche il governo democratico canadese è in grado o ha intenzione di proteggerla, non le resta altro che il rancore.

Una giusta pena non è sempre una condanna in carcere, a volte la massima “occhio per occhio, dente per dente” è semplicemente giusta. Ci sono crimini per i quali non esiste una punizione comparabile al dolore causato, crimini che non avranno mai giusto compenso. A volte la giustizia va fatta con le unghie e con i denti, senza pietà. Così nelle scene sconvolgenti dell’ultimo episodio, che si concentrano sulla vendetta delle ancelle, chi guarda non può che empatizzare con chi da vittima diventa carnefice.

Le donne rincorrono e uccidono con furia animale Fred Waterford, l’ideatore di tutte le teorie sulle quali si basa Gilead. Non proprio una furia animale, però, quanto una rabbia profondamente umana: quella di chi ha subito l’inimmaginabile e non ha visto negli occhi dei propri persecutori nessuna pietà, nessun momento di esitazione. Ed è anche la rabbia di chi, dopo aver sofferto l’inferno, si rende conto che nessuno desidera portare giustizia alle sue sofferenze. Allora si è costretti a farsi giustizia da soli, a prendersi l’onere – e anche la soddisfazione – di vedere il dolore subìto negli occhi di chi lo ha inflitto per primo.

L’influenza sull’attualità

The Handmaid’s Tale si è posta come obiettivo qualcosa che nessun altro aveva fatto negli ultimi anni: servirsi di un mondo irreale per far riflettere il lettore su ciò che potrebbe essere il suo futuro. Gilead non è altro che le nostre più grandi paure fatte realtà.

È per questo che in più proteste per i diritti delle donne i partecipanti hanno simbolicamente indossato la divisa delle “ancelle” di Gilead, per denunciare un governo che si arroga il diritto di decidere cosa fare del corpo delle donne. L’impatto che un semplice programma televisivo può avere è immenso, e forse non avevamo ancora avuto modo di accorgercene. 

Certo, qualcuno ha accusato la serie di essere ripetitiva, a tratti lenta e poco emozionante. In effetti le prime stagioni seguono una lotta infinita tra June e il mondo in cui si trova ad abitare: per mille volte cercherà di riaffermare la sua identità e la sua umanità, mentre per altre mille volte riceverà in risposta soltanto torture fisiche e psicologiche. Non è però semplice gusto per il macabro, quanto una vicenda umana che potrebbe essere quella di ognuno di noi. Nella realtà non  ci si arrende al primo tentativo e neanche un tentativo è sufficiente ad aggiustare un mondo sottosopra.

Il futuro della serie

Il finale di stagione ha raccontato il culmine dell’ira delle ancelle, che hanno finalmente avuto la loro vendetta. Le conseguenze, però, non tarderanno ad arrivare. La quinta stagione in arrivo nel 2022 rivelerà la loro sorte. Che siano punite per l’omicidio commesso o meno, viene da chiedersi: ora che hanno ottenuto la loro vendetta, potranno davvero andare avanti? Saranno capaci di lasciarsi Gilead alle spalle e ricominciare da zero?

Probabilmente no. Se questi quattro anni di programmazione ci hanno insegnato qualcosa, è che le spiegazioni semplici non trovano spazio all’interno della serie. L’ispirazione a vicende di reali violenze è palese: non è la vendetta la soluzione, e nemmeno il perdono. Forse solo il tempo potrà guarire. Intanto, la lotta contro Gilead continua.