VIVERE NELLA LEGALITÀ/Day 6 – Fine del viaggio

Articolo di Silvia Sartor, Stefano Pezzi, Cristiano Caselli, Gabriele Animato, Giacomo Zanardi, Alessio Benvenuto e Francesca Soave.

Durante il ritorno a casa ci sembra si concludano due viaggi: quello scolastico, una boccata d’aria dopo le prime settimane di studio, e quello della nostra coscienza, formata e maturata da tutti gli incontri speciali a cui è stata esposta.

Ci rimangono solo due tappe: Cinisi e Via d’Amelio. A Cinisi ci perdiamo nel racconto di Peppino Impastato, nato in casa alla Mafia, ma coraggioso abbastanza da seguire ciò che riteneva fosse giusto. Peppino, a differenza di altri, non era solo, ma intorno a lui si era creato un collettivo di giovani attivi nel dibattito socio politico, con cui tra le altre cose curava un programma radiofonico, Radio Aut. Peppino non era un magistrato né un eroe, era uno come noi, appassionato di politica e poesia, eppure già negli anni Settanta, prima che l’antimafia ancora esistesse, urlava: “Se questo fa la mafia, io mi opporò a lei per tutta la vita”.

Ma forse ancora di più ci stupisce la figura della madre, Felicia Impastato, la quale decise di non spostarsi mai, in seguito agli omicidi, da quella casa situata a solo 100 passi dal responsabile dell’ uccisione  di suo figlio e di suo marito: il capo mafioso Gaetano Badalamenti. Nel dolore da cui doveva essere afflitta, mai si arrese ad una vendetta veloce e criminale, ma aspettò 24 anni perché la magistratura completasse il processo giudiziario del caso Impastato. Infine morì nel 2002, pochi mesi dopo la condanna all’ergastolo di Badalamenti e lasciò la sua casa al Comune di Cinisi, che la renderà poi Casa Memoria.

Tuttavia, l’arresto dell’allora boss mafioso non ha posto, a Cinisi, una fine all’esistenza di Cosa Nostra. È una storia che inizia nel 2015 quella che ci racconta Santi Palazzolo, nella sua magnifica pasticceria. Per lui la mafia si è manifestata in un amico, nonché vicepresidente della Gesap, Roberto Helg.

Helg un giorno, allo scadere del contratto, gli annuncia che per non perdere il rinnovo dell’affitto dei locali in aeroporto, in cui si trova una delle sue pasticcerie, dovrà pagare una tangente da 150.000. Le parole di Palazzolo ci colpiscono: “Se fosse stata solo una questione economica avrei pagato, ma ho denunciato come padre e come esempio per i miei figli”.

Ci sono temi comuni che ritornano in questa storia commovente: l’abbandono delle istituzioni dopo l’accaduto, il mancato risarcimento, la pena al limite dell’adeguato. Ma ce n’è uno che più di tutti deve rimanere nelle nostre menti e nei nostri cuori, l’insegnamento che tutte le figure che abbiamo incontrato sembrano volerci lasciare.

È un insegnamento di tenacia e passione, di pura dedizione e di completa devozione verso il più giusto degli ideali: quello della giustizia, della disponibilità, dello Stato.

E allora, oggi ancor di più, torniamo a casa veramente pieni, trasfigurati dalle parole e dai fatti di cui siamo stati attenti ascoltatori ed entusiasti partecipanti.

Perché oggi più di ieri siamo cittadini migliori, pregni di quel senso civile che porta alla lotta sociale necessaria per rialzare l’Italia dagli errori del passato.

E forse l’immagine più forte e più giusta per concludere il nostro viaggio è quella di un cerchio di ragazzi davanti al memoriale di Paolo Borsellino, in quella via d’Amelio animata dal nostro inno.

Perché abbiamo imparato che insieme e con la mano sul cuore possiamo veramente essere il futuro del nostro Paese.