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Novel foods in arrivo: rinnovamento o apocalisse del gusto?

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di Raffaele Raminelli – A partire dal 2018 una nuova normativa europea entrerà in vigore in materia alimentare, apportando una vera e propria rivoluzione all’interno delle nostre abitudini. Il regolamento  UE 20145/2283 prevede infatti un’apertura definitiva alla distribuzione dei “novel foods” –  cibi provenienti da paesi extraeuropei – e all’utilizzo dei cosiddetti nano-ingredienti.

Prima di affrontare il tema nello specifico è necessaria una breve premessa. In un mondo sempre più globalizzato e frenetico il nostro rapporto col cibo è radicalmente cambiato rispetto a pochi decenni fa: ormai sono davvero poche le persone che hanno tempo da dedicare ai piaceri della tavola; prevalgono invece altri tipi di esigenze quali il risparmio e l’immediatezza di accesso al piatto. Stiamo dunque inesorabilmente perdendo il nostro legame con la cucina tradizionale, e con essa tutta una serie di usi, costumi e abitudini. In questo contesto il sempre più accettato esotismo modifica ulteriormente la nostra idea di dieta e sono numerosi i paesi dell’unione ad aver già ampliato i loro orizzonti culinari negli ultimi anni: Belgio, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna e, a sorpresa, Francia hanno sposato le nuove tendenze.  L’introduzione di nuovi alimenti e processi produttivi all’interno del vecchio continente diventa così una conseguenza inevitabile dell’evoluzione della nostra società; l’aggiornamento della politica europea in materia appare dunque un semplice adeguamento ai tempi in cui viviamo. Vi sono però alcuni aspetti sui quali è bene soffermarsi.

Con la nuova normativa, l’approvazione circa l’immissione sul mercato di un determinato prodotto spetterà alla Commissione europea e non più all’autorità dei singoli paesi, ai quali verrà affidato semplicemente il controllo sulla sicurezza alimentare dell’alimento in questione. Questa novità appare particolarmente invadente verso tutti quegli stati, Italia in primis, che hanno una forte identità gastronomica e non potranno dunque limitare la diffusione dei novel foods che, nonostante siano ancora un tabù per la maggioranza della popolazione, possiedono proprietà nutritive di indubbia qualità. Cavallette, alghe, serpenti, larve, api, bruchi e quant’altro avranno dunque la strada spianata verso i nostri scaffali. L’ultima parola spetta ora al mercato. Come già affermavano i latini “De gustibus non disputandum est”.

Il discorso relativo ai nano-ingredienti appare, invece, ancora più controverso. Essi rappresentano l’applicazione agroalimentare delle nanotecnologie e hanno numerosi utilizzi. Possono essere adoperati infatti per sviluppare nuovi materiali di imballaggio in grado di conservare meglio gli alimenti oppure per migliorarne alcune caratteristiche quali il colore, il sapore e la consistenza. È quest’ultima frontiera che preoccupa maggiormente gli amanti della buona cucina. Con lo sfruttamento dei nano-ingredienti la qualità e genuinità dei prodotti appare destinata a calare sensibilmente, pur rimanendone inalterato l’aspetto e il sapore agli occhi del consumatore. Il tutto sembra favorire gli interessi commerciali delle grandi multinazionali, che vedono aumentare esponenzialmente le proprie prospettive di profitto, soprattutto in quei paesi, e sono molti, privi di un’identità alimentare forte.

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POLITICA E ALIMENTAZIONE/La guerra agli hamburger di soia

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I prodotti a base vegetale stanno riempiendo sempre di più gli scaffali dei supermercati italiani.

Oggi è possibile sostituire i tradizionali prodotti a base di carne con hamburger di soia, salsicce di seitan o polpette vegetali. Il nome “hamburger di soia”, per esempio, può risultare paradossale, ma non in un mondo dove il futuro della carne è vegetale.

9 italiani su 10 sono favorevoli all’utilizzo di termini come questo, che rimandano inevitabilmente al mondo della carne con lo scopo di rendere il consumatore più consapevole del prodotto e promuovono scelte alimentari più salutari e sostenibili. È indubbio che si tratti di marketing, ma è davvero un tema su cui dover discutere?

Per alcuni deputati della Camera, sì.

Una proposta di legge che vuole vietare l’uso di nomi riconducibili alla carne per i prodotti vegetali è stata infatti presentata nella Commissione Agricoltura della Camera. L’obiettivo di questa legge è quello di difendere gli allevamenti e la produzione di carne italiana, che sarebbero svantaggiati dalla concorrenza di scelte alternative. Prodotti come la “bresaola di seitan” o la “bistecca di tofu” potrebbero, secondo i promotori della legge, indurre chi compra a pensare erroneamente che questi alimenti siano esattamente identici alla carne a livello nutrizionale.

Secondo l’organizzazione per i diritti animali “Essere Animali”, l’argomento della legge è fuorviante, perché ci sono differenze nutrizionali anche tra prodotti a base di carni diverse con lo stesso nome. I prodotti che usano questo tipo di termini, inoltre, avvicinano le persone a un’alimentazione più veg, una scelta migliore non solo per la salute ma anche per l’ambiente.

La proposta di legge, infatti, non considera i vantaggi a livello di sostenibilità ambientale che offre l’alimentazione vegetale: un report della Commissione Europea ha dimostrato che il settore zootecnico (una parte del settore primario che consiste nell’allevamento, nell’addomesticamento e nello sfruttamento di animali a fini produttivi) è responsabile per l’81- 86% delle emissioni totali di gas serra nell’agricoltura.

Per questi motivi Essere Animali ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di impegnarsi a bloccare la proposta.

 

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MALASANITÀ/Il dramma del neonato morto al Pertini

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L’otto gennaio di quest’anno, al ospedale Pertini di Roma un neonato è morto soffocato quando la madre che lo stava allattando si addormenta.

Successivamente la procura ha aperto un fascicolo: “omicidio colposo”.

Intanto però la notizia si diffonde, e il padre del neonato racconta al Messaggero di come la donna fosse sfinita e priva di energie dopo ben 17 ore di travaglio.

La moglie aveva più volte chiesto ai responsabili del reparto di portare il neonato al nido del ospedale per poter riposare, anche solo per qualche ora.

Ma il permesso le era sempre stato negato.

Nei giorni successivi il fatto ha scatenato un accesso dibattito riguardante le procedure post-parto degli ospedali.

Infatti, negli ospedali solitamente è previsto il cosiddetto “rooming-in”, ovvero il neonato subito dopo il parto, viene tenuto nella stessa stanza della madre anziché in una camera in comune con altri neonati.

A questa pratica però, dovrebbe essere sempre proposta un alternativa cioè la gestione dei neonati da parte del Asilo del ospedale, fino al termine della permanenza.

Questa seconda opportunità non viene sempre tenuta in considerazione, e centinaia di donne nei giorni scorsi hanno raccontato la loro esperienza denunciando che la possibilità di usufruire del nido ospedaliero sia stata loro  negata.

Le domande che ci si pongono in questi casi sono molteplici: Cosa sarebbe accaduto se questa donna avesse potuto riposare per qualche ora? O anche solo sé qualcuno avesse avuto cura si sorvegliarla e assisterla? La pratica di rooming-in vale per qualsiasi situazione? È  davvero la scelta più adeguata?

Il drammatico evento che ha portato  il decesso del neonato di Roma dovrebbe stimolare le coscienze e una azione diretta delle istituzioni per tutelare maggiormente la salute delle donne dopo il parto.

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DALL'EUROPA

MODA/Un italiano al timone di Luis Vuitton

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Pietro Beccari è il nuovo amministratore delegato e presidente di Louis Vuitton. Un italiano, dunque, guiderà la marca francese di lusso più nota al mondo fondata da Bernard Arnault. Beccari succederà a Michael Burke. Mentre alla guida di Dior andrà Delphine Arnault, figlia primogenita dell’imprenditore attualmente “uomo più ricco del mondo” secondo Forbes. Un cambio ai vertici che era nell’aria e attendeva solo la conferma ufficiale. Questo è forse il primo dei molti i cambiamenti che attendono il mondo della moda per questo 2023, nel management come nelle direzioni creative.

Pietro Beccari, parmense classe 1967, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore marketing di Benckiser (Italia) e Parmalat (Usa), per poi passare alla direzione generale di Henkel in Germania, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione Haircare.

Nel 2006 è entrato in LVMH in qualità di vicepresidente esecutivo marketing e comunicazione per Louis Vuitton, prima di diventare Presidente e ceo di Fendi nel 2012. Da febbraio 2018 è presidente e ceo di Christian Dior Couture, oltre che membro del comitato esecutivo di LVMH.

“Pietro Beccari”, ha commentato Bernard Arnault, fondatore e CEO di LVMH: “ha svolto un lavoro eccezionale in Christian Dior negli ultimi cinque anni. La sua leadership ha accelerato il fascino e il successo di questa iconica Maison. I valori di eleganza di Monsieur Dior e il suo spirito innovativo hanno ricevuto una nuova intensità, supportata da designer di grande talento. La reinvenzione della storica boutique al 30 di Montaigne è emblematica di questo slancio. Sono certo che Pietro condurrà Louis Vuitton a un nuovo livello di successo e di desiderabilità”.

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