Connect with us

L'EDITORIALE

Pensate di conoscere davvero noi adolescenti?

Pubblicato

il

di Agata

– Sono molte le volte in cui ho sentito parlare della mia generazione come “debole e bruciata”, ma in realtà nessuno si è mai il chiesto il come ed il perché di tutto ciò.
Per noi giovani non è facile tenere testa a tutte le richieste che ci vengono fatte dagli adulti, molte volte abbiamo bisogno di sentirci liberi di scegliere, di sbagliare da soli senza avere qualcuno che ci sgridi se a volte cadiamo e magari ci sbucciamo un ginocchio.
Perché in fondo è quello che ci è sempre stato insegnato: cadere per poi rialzarsi con le proprie forze.
Non abbiamo bisogno di quattro ore di studio per capire che i problemi che i filosofi si ponevano un tempo sono gli stessi che tutt’oggi ci poniamo, forse abbiamo semplicemente l’esigenza di uscire dalle nostre quattro mura e viverli quei dubbi per capirli più a fondo.
Vorrei smetterla di sentir dire che noi ragazzi “ci facciamo del male perché vogliamo farci notare”, non è solo questo. Non abbiamo bisogno di mille persone, ma solo di una, che sia un genitore, un amico o il proprio fidanzato. Necessitiamo di una guida, di una figura forte in grado di aiutarci a sconfiggere questa società così crudele, corrotta e fondata sui pregiudizi.
Perché non è questione di sentirsi dire “sei brutta” oppure “non sei alla moda”, il problema è non sentirsi mai abbastanza, che è più doloroso di non possedere vestiti firmati o capelli perfettamente in ordine.
Forse gli adulti si sono dimenticati come ci si sente ad avere così tante responsabilità a diciassette anni, quando non si è più bambini ma non si è nemmeno adulti. A questa età infatti ci si scontra di continuo con persone che fingono di capirti ma che in realtà non ti ascoltano nemmeno, con la scuola che invece di aiutarci e spronarci a fare del nostro meglio ci mostra una realtà in rovina: senza prof, senza fondi e con mille problemi da gestire.
Non si arriva alla bulimia o all’autolesionismo per noia o per esibizionismo, ci si arriva perché ad un certo punto si raggiunge un limite, le forze iniziano a vacillare e tutto ciò a cui si da peso sono i pregiudizi della gente. Abbiamo paura, e sentirci dire che siamo deboli non ci spronerà a salvarci.
Perché in fondo anche questo ci è stato insegnato: nessuno si salva da solo, ma quando perfino i grandi, che dovrebbero essere degli esempi per noi, ci giudicano come “fragili” a quel punto cosa possiamo fare?

Ho deciso di raccogliere alcune testimonianze per raccontare il dolore che i giovani si trovano ad affrontare, non solo dal mio punto di vista ma anche attraverso le parole di alcune ragazze costrette a battersi ogni giorno contro i pregiudizi della gente. Ho posto loro due semplici quesiti: “da cosa pensi che sia scaturito il dolore che ti ha portato a farti del male?” E “cosa vorresti che le persone capiscano per evitare che tutto ciò accada?”.
La prima testimonianza che ho raccolto è di una giovane ragazza le cui parole mi hanno colpito profondamente. Ella mi ha spiegato che il suo dolore ha avuto origine da alcune credenze che le sono state insegnate fin da piccola, credenze che nel percorso della crescita sono crollate. Questo l’ha fatta sentire una persona inadeguata poiché non rispecchiava più la ragazza che le avevano insegnato ad essere, ma più che altro una persona “diversa”.
La seconda ragazza mi ha raccontato una storia molto forte. La sofferenza che provava era causata dal pregiudizio di un compagno che la faceva sentire inadatta, lei provò ad evitarlo, ma il ragazzo continuava a darle contro senza pietà.
In entrambi i casi le due adolescenti si sono spinte a gesti estremi, portandole alla totale negazione di loro stesse.
Vorrei che le persone capissero che tutto ciò che diciamo ha un peso” afferma una di queste. “I nostri interlocutori hanno, chi più e chi meno, una sensibilità che non va urtata. Bisogna sempre ponderare le parole, spesso possono fare più male di un dolore fisico“.
Mi sento in dovere di domandarmi: è necessario che tutto ciò accada? Forse la cosa più giusta da fare è guardare prima se stessi e smetterla di soffermarsi sui difetti degli altri.

Continua a leggere
Click to comment

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

L'EDITORIALE

IRAN/Quando il problema è di chi comanda

Pubblicato

il

Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

Continua a leggere

L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

Pubblicato

il

La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

Continua a leggere

L'EDITORIALE

L’ideologia non è una strategia

Pubblicato

il

E’ iniziato tutto poche settimane fa, intorno al caso della nave Ocean Viking: un pasticcio gestito malissimo con una nave carica di più di 230 persone in fuga dall’Africa che non solo non trova rifugio e assistenza presso un porto italiano, ma è costretta a spingersi verso nord, verso Tolone, per ricevere ristoro.

 

VENTI DI CRISI

Fin qui la cosa sarebbe umanitariamente grave, ma politicamente non gravissima: è il governo della destra, insediatosi in Italia non appena un mese fa, che sui migranti decide di dare un segnale forte alla comunità internazionale e che – a voler essere benevoli – si potrebbe declinare con l’antico motto “chi sbarca in Italia, sbarca in Europa”. Il pugno duro, pertanto, potrebbe rappresentare una richiesta forte ai paesi dell’Unione: o ci aiutate o non capite che cosa sta succedendo.

 

L’ERRORE ITALIANO

Il punto è che la cosa andrebbe concordata. Concordata con i nostri partner e costruita nell’ambito di una strategia politica capace di portare al tavolo europeo un problema di tutti. Sembrava averlo capito Meloni, sembrava che tra lei e Macron le cose potessero funzionare, ma qualcuno al ministero non ha aspettato che l’accordo si chiudesse e ha pubblicamente invitato la nave “ad andare in Francia”.

 

LA REAZIONE FRANCESE

Da qui la stizza di un governo d’oltralpe che tutti i giorni deve fronteggiare gli attacchi xenofobi della Le Pen in un parlamento ormai ostile al Presidente. Da qui un lungo gelo scalfito solo dalla telefonata tra Macron e Mattarella, ma che non si è ancora tradotto in una riconciliazione.

 

CONSEGUENZE SUL GAS E SULLE PARTITE DECISIVE

Meloni perde così un alleato importante, un alleato decisivo nella guerra del gas che il nord Europa vorrebbe non combattere perché troppo beneficiario dei risvolti positivi che la congiuntura attuale permette in suo favore. Per fare il pugno duro sull’ideologia, Meloni si ritrova senza strategia. Come se le battaglie, in fondo, si vincessero con le posizioni di principio.

Continua a leggere

Trending