EGITTO/Evergreen blocca il Canale di Suez
Sono passati giorni ormai da quando la grande nave Evergreen, lunga come quattro campi di calcio e carica di 18.300 container, si è incagliata in mezzo al canale di Suez in Egitto, bloccandone il passaggio. Quasi 300 altre navi sono ferme ai due imbocchi del canale e in un lago al suo interno in attesa di potere riprendere la navigazione. Ogni giorno molti milioni di euro di merci bloccate mandano in tilt l’economia di un pezzo di mondo che coinvolge tanti Paesi europei, asiatici, africani, americani.
Colpisce, osservando le immagini e leggendo le notizie, la difficoltà incontrata dai gestori del canale per liberare il passaggio. La nave, per cause ancora da definire – nonostante in un primo tempo l’autorità abbia parlato di una tempesta di sabbia – è finita con la prua contro la sponda sabbiosa e si è incagliata. Il peso da rimuovere è tale che una squadra di rimorchiatori non è riuscita a spostarla se non di pochi metri.
Appare ora sproporzionato, alla luce dei tanti interessi in gioco che stanno andando in crisi, il rapporto tra l’importanza del canale per il traffico delle merci e la capacità di evitare e risolvere simili incidenti. Come è stato possibile, si chiedono gli osservatori, che non siano state previste misure per prevenire una tale manovra e per intervenire con tempestività per risolvere il problema? Quattro giorni dopo l’incaglio, l’ammiraglio Osama Rabie, capo dell’Authority del Canale di Suez, ha detto che non è ancora in grado di indicare una data per la fine dell’intervento. L’armatore giapponese Yukito Higaki, presidente della società proprietaria della nave, credeva possibile uno sblocco sabato, ma si è dovuto ricredere. Le operazioni hanno bisogno di due alleati naturali per riuscire nell’impresa: la marea e il vento. Questo rischia di allungare l’attesa.
A bordo delle navi ferme ci sono merci di ogni genere e valore che devono essere portate da un capo all’altro dell’emisfero. Ma la foto ravvicinata della prua della nave con accanto una ruspa così piccola da fare tenerezza diventa il simbolo di una umanità poco capace di pensare in grande.