SEUL/Prima che sia la morte a tracciare il confine

Manca un giorno a Halloween. Anche se hai appena staccato al lavoro vuoi portare la tua bambina in piazza, è qualche giorno che il costumino da streghetta gira per casa in attesa di questa sera: nel distretto di Itaewon iniziano i festeggiamenti in preparazione del 31.

L’hai fatta vestire e siete pronte a trascorrere una buona serata, imboccata la via fuori casa è impossibile non notare che in molti hanno avuto la stessa idea, i sorrisi sui volti non coperti dalle maschere sono dello stampo di quello sul visino di tua figlia.

La piazza è gremita di persone in festa, il chiasso in sottofondo diventa in fretta rumore bianco, quando piano piano ti fai strada attraverso la folla con la piccola, che si guarda intorno con occhi sognanti.

Il momento beato lo interrompe un urlo: risalta in mezzo agli schiamazzi per la peculiarità del timbro di voce, è un grido di aiuto, forse una rissa, no, qualcuno urla al mancamento, per altri c’è uno schiacciato, i signori vicino a te stanno cercando di allontanarsi, qualsiasi sia il problema è utile lasciare spazio alle autorità. Facile a dirsi dato che non riesci a fare un passo senza sentirti male. Realizzi: il problema siete voi, l’inesorabile afflusso di persone riversate senza senso in una piazza ora stracolma, che si spintonano inutilmente in un crescendo di pianti e grida. Ti chiedi perché proprio stasera, perché in questa stramaledetta piazza non c’è l’ordine che tanto serve. La presa che avevi sulla manina di tua figlia si allenta, allarmata ti guardi intorno ma non c’è verso di trovarla e ti stanno trascinando senza meta, sicuramente lontano dalla bambina.

Non demordi e finalmente scorgi la sue scarpette arancio viola, aveva insistito tanto perché gliele comprassi così da abbinarle oggi al completo, ora sporco a causa della numerose impronte di scarpe che lo hanno brutalmente calpestato, insieme al corpicino senza vita.

Lei è una delle vittime di quel 29 ottobre, quando arrivano i soccorsi sono già in centocinquanta ad aver perso la vita.

Dopo un avvenimento drammatico come la strage di Seul, non è fuori luogo porsi delle domande: così, tra memoriali e ferite ancora aperte, sono arrivate le polemiche del pubblico. Com’è possibile che a Seul, in uno dei distretti più rinomati in ambito di feste notturne, durante il primo grande festeggiamento senza le mascherine, si siano riversate liberamente 100.000 persone?

E in Italia?

Il contenimento delle folle, in un certo senso, è tematica molto calda anche qui da noi. Infatti il neonato governo Meloni ha varato un decreto con l’intento di contrastare i rave party.

In realtà nel testo dell’articolo 434-bis del codice penale non si parla esplicitamente di feste, né sono presenti accenni alle loro caratteristiche (come musica ad alto volume), ma vengono perseguite generalmente tutte le invasioni di terreni o edifici pubblici o privati, che comportano la possibilità di un pericolo per ordine, incolumità o salute pubblica. Inoltre il numero dei partecipanti non deve essere superiore a 50.

Il pugno di ferro (la pena prevista per gli organizzatori di tali riunioni varia dai 3 ai 6 anni di reclusione) è calato spietatamente, ma forse un po’ alla cieca. Non avendo specificato il tipo di raduno punito, ma solamente la presenza di un possibile pericolo, il “decreto rave party” divide l’opinione pubblica, tra il sollievo di chi da tempo aspettava norme al riguardo, e chi grida al nuovo giogo fascista alle libere manifestazioni.

Tra Seul e Roma forse andrebbe solo trovata una via di mezzo, una soluzione per domare la calca, pur sempre permettendo il raduno, un modo come un altro per sentirsi meno soli.