VENDETTA IRANIANA/Piovono bombe sull’Iraq, ma potrebbe essere una strategia

Dopo l’attacco missilistico dello scorso 2 gennaio in cui ha perso la vita Qassem Soleimani, uno dei leaders del regime di Teheran, l’Iran non ha tardato nel far sentire la propria voce. All’indomani di un funerale che ha visto un’imponente partecipazione di massa del popolo e delle gerarchie dello stato sciita, nel cuore della notte è partito un attacco missilistico alle basi americane in terra iraqena. Non ci sono al momento notizie certe sulle dinamiche dell’accaduto, ma pare che l’azione abbia portato alla morte di ottanta soldati statunitensi e che siano illesi militari di altre nazioni (come l’Italia) che, allo scorgere dell’attacco, hanno riparato nei bunker anti-bomba.

La notte del cielo mediorientale è stata dunque difficile, piena di allarmi e di strategie. Infatti, se da un lato si teme la reazione di Donald Trump, che al momento ha commentato su Twitter con un generico “tutto bene”, dall’altro gli analisti fanno notare sia l’immediatezza dell’attacco – così da risultare esemplare e spettacolare agli occhi della nazione bramosa di vendetta – sia la bassa intensità degli obiettivi scelti (due basi militari verso cui gli USA potrebbero esercitare nei prossimi mesi forme di disimpegno).

Siamo quindi di fronte ad un’azione dimostrativa, tesa a riaffermare una ragione di vendetta, ma ultimamente finalizzata all’innescarsi di una tregua? E’ quindi un prezzo di onore quello pagato stanotte dagli americani? Accetteranno i vertici USA che sia così, lasciando perdere ogni forma di ritorsione? In molti sostengono che con un’azione simile la guerra, paradossalmente, potrebbe essere stata decisamente evitata. Tutto, come sempre, dipenderà dall’uomo che siede alla Casa Bianca. E dalla capacità che avrà di cogliere l’opportunità della pace.