ESAME DI STATO/Essere maturandi ai tempi del COVID

Le classi quinte dell’anno 2020/2021 si troveranno a dover affrontare a breve i tanto temuti (ma anche agognati) esami. C’è chi non vede l’ora di tagliare questo traguardo per potersi godere al meglio l’estate e chi invece guarda già con nostalgia agli anni che lo hanno preceduto.

Maturità 2020/2021

In qualunque caso, qualunque tipo di istituto si consideri, gli esami avranno inizio il 16 giugno e si struttureranno in questa maniera: innanzitutto niente più scritti. Infatti si tratterà di un colloquio in cui si partirà da un elaborato scritto in precedenza.

Esso dovrà essere argomentato in modo da renderlo il più chiaro possibile alla Commissione, la quale lo avrà già visionato. Dopodiché vi sarà l’analisi di un testo di letteratura italiana, seguita dall’analisi del materiale predisposto dalla Commissione. Infine verrà lasciato dello spazio per l’esposizione svolta del PCTO e per educazione civica.

L’intervista

Ma la vera domanda è: come ci sentiamo noi studenti ad affrontare l’esame? In fondo vi sono delle profonde differenze rispetto alle modalità d’esame degli scorsi anni e sicuramente sarà diversa la nostra percezione nei suoi confronti.

La mia decisione è stata di intervistare una studentessa proveniente da un liceo classico, Chiara, e uno studente proveniente da un istituto tecnico informatico, Andrea.  Essi hanno avuto esperienze diverse, quindi l’obiettivo è quello di provare ad istituire un confronto.

“Innanzitutto, pensieri sul percorso scolastico svolto?”

Andrea: È andato piuttosto bene, meglio rispetto agli altri anni. Ho fatto fatica perché a un certo punto mi ritrovavo spesso a fare i compiti e studiare parecchio controvoglia e demotivato, però quando ce n’è bisogno, lo sforzo si fa. È stato tortuoso a causa dell’accumularsi dei compiti e dei vari studi, dello stare tutto il giorno attaccato al computer nel periodo della DAD. Però tutto sommato, una volta adattati, si viaggia bene.

Chiara: E’ stato senza ombra di dubbio un anno faticoso che non ci ha risparmiati né nei periodi in presenza né in quelli a distanza. E’ l’ultimo anno e bisogna portarlo avanti fino all’ultimo, anche se avrei preferito, a questo punto, farlo con i miei amici e compagni sempre dal vivo. E’ anche vero che io, come i miei compagni della V A classico [del Liceo Da Vigo-Nicoloso], abbiamo avuto la fortuna di poter andare in presenza grazie alla Francesca. Lei più di tutti deve aver sentito su di sé il peso di questo periodo, ma poter stare insieme anche quel poco deve averla aiutata. Senza dubbio ha contribuito alla crescita personale di tutti noi.

Quando si parla di percorso scolastico non si può lasciar da parte la presenza oppressiva della didattica a distanza. Essa ha contribuito enormemente a scandire il nostro stile di vita alternando periodi di totale libertà a periodi di completa clausura fino ad arrivare al compromesso tra le due.

Nonostante la premessa sia per Andrea che per Chiara si è trattato di un periodo positivo nel complesso, anche se con i suoi alti e bassi.

Alla fine ciò che emerge è la questione dello sforzo. Infatti noi maturandi abbiamo avvertito più di tutti gli altri studenti delle superiori le conseguenze del Covid. Da una parte impegnati in lezioni che talvolta, per via dei turni creati per evitare un’eccessiva affluenza, finivano ad orari molto scomodi, dall’altra occupati dallo studio, abbiamo sentito come parte più gravosa la didattica a distanza. Essa, oltre che obbligare a star seduti davanti allo schermo per tempi molto lunghi, ha tenuto lontani compagni e amici a lungo, rendendo l’esperienza scolastica più pesante.

Nel caso di Chiara, quello che però rende ancora più speciale la sua esperienza, è la presenza in classe di una ragazza portatrice di disabilità. Ciò avrebbe già reso il suo percorso scolastico unico per via della maturità e crescita personale che si ottiene standole accanto, ma l’esperienza del Covid l’ha sicuramente resa una crescita ancora maggiore perché frutto della scelta consapevole di andare a scuola, nonostante i rischi. Infatti grazie a Francesca si ha avuto la facoltà di andare a scuola anche nei periodi di Dad proprio per evitare che si sentisse sola. Alla fine ciò ha finito per aiutare non solo lei, ma anche i compagni che hanno deciso di raggiungerla.

“Cosa ne pensi della maturità a tempo Covid?”

Andrea: Se dovessi individuare i punti a favore di una maturità in tempi di Covid, c’è il fatto che sia solo orale la prova. Il che semplifica molto gli studenti rispetto a dover affrontare diversi scritti. Tra i punti a sfavore della maturità in tempi di Covid vi sono tutte le restrizioni. In particolare le mascherine: essendo orale la prova sono un impedimento enorme. Stare un’ora a parlare al caldo, se non puoi toglierti la mascherina non è il massimo.

Chiara: Sicuramente facilita la mancanza di scritti. Già ora trovo difficile ripassare anche solo per il colloquio, non oso immaginare con gli scritti. Alla fine ciò che mi manda in ansia è l’idea di poter avere tutto compattato in pochi giorni. Almeno con il maxi orale hai solo quella data di cui preoccuparti. Poi sei libero.

Alla fine non cambia molto il tipo di istituto che si frequenta. Le problematiche e i punti favorevoli della maturità svolta in questo modo risultano pressoché gli stessi. Questo perché alla fine non esiste un istituto più o meno semplice. Bisogna comunque metterci del proprio e in un momento importante come quello dell’esame di stato, nonostante le diverse materie d’indirizzo, le difficoltà da affrontare sono le stesse.

Quello su cui ci si trova abbastanza d’accordo è il sollievo della mancanza di scritti. Ciò che li rende difficoltosi non sono tanto essi di per sé, quanto il fatto che essi sarebbero molto vicini alle date degli orali rendendo particolarmente complicata una buona preparazione. Avere un colloquio di un’intera ora che comprenda scritto e orale lo rende probabilmente anche più unitario e si gioca molto sulle capacità di argomentare un discorso in maniera coerente e fluida, senza però mettere da parte lo studio e la facoltà di esporre ciò che si è appreso durante l’anno.

“Piani per il futuro?”

Andrea: Per il momento vado sul lavoro, non ho la testa per pensare di dover studiare altri 3/5 anni di università e dover passare un altro esame, e non so nemmeno che indirizzo potrei fare. Solo l’esperienza potrà dirmi se accontentarmi del lavoro o se sia meglio l’università, spero solo di non accorgermene troppo tardi.

Chiara: Ingegneria meccanica, anche se dopo la triennale punto ad Aerospaziale. Mi affascina l’universo e l’idea di avere le conoscenze per immergermici dentro attraverso l’università non fa altro che farmi aumentare il desiderio di frequentarla. E poi mi piace molto l’idea di un nuovo inizio e devo dire che non vedo l’ora di cominciare (anche se prima devo vedere di riuscire a finire il discorso maturità).

In alcuni casi i dubbi rimangono, ma nel complesso la scelta fra lavoro e università non risulta particolarmente drammatica. Quello che è importante alla fine è trovare un obiettivo, anche solo momentaneo, e puntare ad esso. Solo prefiggendosi qualcosa si possono ottenere dei risultati.

Forse il problema più grande che affligge la nostra generazione è la consapevolezza di gettarsi, terminati gli studi, in un mondo spietato che spesso non consente di inseguire i propri sogni. Ma sono davvero fondati questi timori? E’ vero, sarebbe ingenuo non considerare minimamente ciò di cui aziende e società necessitano, ma forse la situazione non è così terribile.

“Cosa ti aspetti da un mondo del lavoro che sembra non dare più spazio a chi crede che la cultura renda indipendenti?“

Andrea: Ma guarda, penso che uno tenda a voler fare ciò che gli si addice e che gli vada più a genio. A meno che non ci siano molte alternative, se uno ne ha la possibilità e se lo sente non vedo perché non dovrebbe puntare agli ambiti in cui si sente più a suo agio. E’ chiaro che il settore tecnologico è sempre più sviluppato e so che si cercano moltissimi informatici rispetto piuttosto a dei letterati. Tutto sta nella buona volontà di andare avanti per la propria strada perché lo studio qualche frutto lo dovrà portare, in qualsiasi campo, anche perché andando avanti con l’esperienza probabilmente tornerà tutto utile. In generale comunque non credo che il lavoro levi spazio alla cultura, perché se uno ha i titoli allora li può sfruttare come meglio crede.

Chiara: Alle volte si devono fare delle scelte. Purtroppo non è semplice trovare un impiego in campi dedicati totalmente alla cultura e quando si trova spesso non si hanno le soddisfazioni che si cercano. Ma secondo me l’importante è essere convinti della propria scelta e non arrivare al punto di non farcela più a svolgere una professione scelta solo per lo stipendio o perché più sicuro.

E’ sempre difficile risolversi davanti al conflitto (perché alle volte di questo si tratta) tra cultura e scienza in campo lavorativo. Da una parte non si riesce a mettere da parte la consapevolezza delle difficoltà che si incontrano nel percorrere una strada non battuta, non sicura. Ma è anche vero che se si è bravi magari si trova il modo di fare della propria passione un lavoro anche quando questa non rientra nelle “logica dell’utile”.

Essa spesso domina persino i nostri sogni, inducendoci silenziosamente a trovare più interessante un futuro più stabile piuttosto che qualcosa di meno sicuro. A volte questo processo avviene tanto in raccordo con la nostra mente da non farci percepire quanto siamo condizionati dal “dio denaro”, come direbbe Marx.

Ma non è mai una questione legata prettamente al denaro. Non si fanno certe scelte per avidità, ma perché questo mondo ci induce non solo a voler vivere, ma a volerlo fare felicemente. E se fare quel viaggio in Egitto, a New York o in qualche isola greca ti rendesse felice non dovresti munirti delle risorse per poterlo fare?

Questo non vuol dire necessariamente scegliere una vita più sicura, ma insoddisfacente. Significa armarsi di forza di volontà e trasformare ciò che viene visto dalla società come inutile in qualcosa di cui essa non possa fare a meno. Se nell’Impero Romano erano più importanti dei discorsi inventati su temi inventati piuttosto che un trattato di medicina un motivo ci sarà stato. Cultura e scienza tendono a scambiarsi i ruoli nel tempo, ma nulla vieta che un giorno possano coesistere sulla stesso piano.  Ma per assicurarsi che ciò accada bisogna partire dal dare importanza ai propri interessi.

Fine o nuovo inizio?

La maturità di quest’anno rappresenta la fine di molte cose. Non si tratta solo del conseguimento del diploma per degli studenti, ma, se va tutto come si prospetta, anche la fine di un periodo scolastico legato a didattica a distanza, turni e mascherine.

Eppure, nonostante i lunghi periodi di isolamento, trovo che quest’anno vissuto in questa maniera ci abbia uniti molto di più. A volte, quando si ha la disponibilità di qualcosa, non la si apprezza. Dare per scontato qualcosa è il nostro limite più grande, per cui a volte serve esserne privati per considerarlo maggiormente. Quest’anno ha insegnato a tutti noi ad apprezzare di più una scuola che ci permette di socializzare e di apprendere.

D’altra parte invece non è mai facile porre la parola “fine”, ma bisogna anche provare a guardare ad essa come un nuovo inizio. Sia per chi sceglierà di proseguire gli studi sia per chi opterà per il mondo del lavoro si aprono nuove strade. Esse saranno caratterizzate da cadute e risalite continue, ma questi anni preziosi ci hanno insegnato che fintantoché prevale l’impegno, una strada la si trova. Sempre.