Connect with us

L'EDITORIALE

Speciale Marte: lasciare la Terra per ricominciare da zero

Pubblicato

il

Qualche giorno fa discutevo con alcuni amici su come potrebbero cambiare le nostre vite nei prossimi anni. Per la prima volta avremo davvero davanti infinite possibilità. Teoricamente, nulla ci impedirebbe di trasferirci in un’altra città e, perché no, magari anche in un altro Paese. Lasciare la propria città natale, con tutti i luoghi che hanno fatto da cornice alla nostra vita, è una scelta difficile, che non molti si sentirebbero di fare. Oppure no?

A quanto pare, mentre noi discutiamo se Torino sia una città troppo diversa, nella quale non potremmo mai sentirci a casa, c’è qualcuno, in America, che progetta di trasferirsi su Marte, e non ha alcun dubbio a riguardo. 

Il servizio, offerto dalla compagnia aerospaziale SpaceX, fondata da Elon Musk, progetta di far stabilire almeno un milione di persone sul Pianeta Rosso già entro il 2027. 

Oltre le Colonne d’Ercole

Seppur possa sembrare incredibile, non si tratta di una fantasia irrealizzabile, ma anzi di un progetto con forti basi scientifiche e con una lunga lista di volontari interessati a lasciare la Terra.La giusta domanda da porsi, quindi, non è tanto se sia possibile raggiungere Marte, quanto se effettivamente sia giusto andarci. 

Chi ha studiato i classici sa che l’uomo, spesso, pecca di Hybris. E di questo spesso muore. Basti pensare a Ulisse, che osò superare le Colonne d’Ercole, e per questo si guadagnò un posto all’Inferno. 

Al di là della mitologia, la tracotanza umana è uno di quei difetti che sembra solo aumentare col tempo. E colonizzare Marte, ora che è davvero possibile, è il più grande atto di Hybris a cui si può pensare.

Il progetto di SpaceX, infatti, non si limita a programmare il raggiungimento di Marte, ma prevede anche un totale cambiamento delle condizioni del Pianeta. Per renderlo abitabile, infatti, si prevede addirittura di alterarne la temperatura (che raggiunge tranquillamente i -70 gradi centigradi, durante la notte). In pratica, si vuole fare la stessa cosa che abbiamo fatto sulla Terra, ma più in grande: non si tratta più di distruggere foreste e costruirci sopra palazzi, ma addirittura di cambiare la fisionomia stessa dell’intero pianeta. 

Prendiamoci cura della Terra

La scienziata Lucianne Walkowicz, ad esempio, è estremamente scettica riguardo a questo progetto. Certo, esplorare è nel nostro DNA, e le nuove scoperte non possono far altro che migliorare le nostre vite, in qualche modo. Ma perché osare tanto? Esiste un rischio: quello di dimenticare quanto valore abbia il nostro pianeta. Persino il luogo più aspro della superficie terreste, come un deserto, è comunque più adatto a noi rispetto ad un pianeta estraneo. Su Marte, anche con tutte le tecnologie più innovative, non saremo mai in grado di prendere una boccata d’aria a pieni polmoni.

Vogliamo davvero questo? Vale davvero la pena investire così tanti soldi e risorse per colonizzare un altro pianeta, quando potremmo prenderci cura del nostro?  L’astronoma infatti afferma: “Se pensiamo davvero di avere le capacità necessarie per rendere Marte abitabile, forse dovremmo prima impegnarci a salvaguardare la Terra, prima che sia troppo tardi”. 

Inseguendo la proposta di Musk, si corre infatti il rischio di pensare a Marte come ad una soluzione ai danni che noi stessi abbiamo inflitto al pianeta Terra, invece che ad un’opportunità per ampliare la nostra conoscenza dell’universo.

Non esiste solo il domani

C’è, ovviamente, chi non concorda con Walkowicz, come lo scrittore Stephen Petranek. Secondo i suoi studi la razza umana, se concentrata su un unico pianeta, sarebbe ad alto rischio di estinzione, prima o poi. Espandersi tra diversi pianeti, sarebbe la soluzione perfetta per conservare la nostra specie nei millenni, preservandoci da una fine certa. Certo, esistono tantissimi rischi, ma bisogna guardare il progresso in un’ottica più ampia: non si parla di risolvere problemi che si presenteranno nei prossimi decenni, ma di individuare strategie attuabili nei secoli. Perché l’aria su Marte sia respirabile, si prevede che saranno necessari più di mille anni. Ma che cosa sono mille anni in confronto al tempo trascorso dalla nascita dell’universo? 

Gli uomini sono nati per scoprire, migliorare, inventare. Raggiungere altri pianeti (e qui lo scrittore usa il plurale, perché nulla esclude che col tempo si possa mettere piede anche in altre galassie) permette di immaginare scenari degni del più fantasioso romanzo.

Quello su cui entrambi gli studiosi concordano, però, è che in questo inevitabile processo di scoperta non bisogna dimenticare quando il pianeta Terra sia prezioso. Forse, una volta raggiunto Marte, nella nostra tuta spaziale, circondati da quel rosso deserto ghiacciato, ci guarderemo indietro, osserveremo la nostra vecchia casa, e ci renderemo finalmente conto di quanto sia preziosa.

L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

Pubblicato

il

1) Ti sparano

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

2) Ti uccidi

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

Però ci si può chiedere: perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

Continua a leggere

L'EDITORIALE

IRAN/Quando il problema è di chi comanda

Pubblicato

il

Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

Continua a leggere

L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

Pubblicato

il

La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

Continua a leggere

Trending