Aveva ragione Pirandello?

Aveva ragione Pirandello a dire che siamo solo delle maschere?

Se fosse così sarebbe terrificante: vorrebbe dire che tutto ciò in cui crediamo, tutto ciò che pensavamo fosse importante, “semplicemente” non lo è. Non sarebbe preoccupante se davvero sotto la maschera ci fosse il flusso indistinto, il nulla? Spinoza diceva che l’uomo è un’ondina in un mare dell’esistenza: una piccola curva nell’acqua destinata a infrangersi su una scogliera. Davanti a noi mille ondine, dietro di noi altrettante. Chi si accorge di quell’ondina fra tante? Siamo quindi acqua?

A quale scopo sforzarci per dire la nostra, se alla fine nessuno può capirci, se le parole sono un nulla?

Spesso consumiamo le parole svuotandole di significato, le usiamo impropriamente, senza pesarle. Ma il valore che noi diamo alle cose, ai termini, non esiste solo in relazione a noi che glielo attribuiamo? Dopo che abbiamo ripetuto all’infinito una parola, non ci sembra neanche più di conoscerla, non ci suona più familiare. Neanche la nostra voce ci sembra la stessa quando riascoltiamo un nostro messaggio vocale.  Quante volte, finiamo di spiegare qualcosa a un amico, o gli raccontiamo una vicenda divertente e poi capiamo che stiamo ridendo per due motivi diversi, oppure non ha proprio capito quello di cui stiamo parlando. Allora è colpa nostra che non sappiamo esprimerci o dell’incomunicabilità di Pirandello?

Abbiamo un’idea di noi stessi ben precisa, sappiamo chi siamo, quel che vogliamo. Abbiamo anche una chiara visione di quello che gli altri pensano di noi, almeno delle persone che ci sono più vicine, con cui condividiamo di più. E se invece loro mi vedessero come qualcosa che sia totalmente altro da me? Sono loro a non avere delle buone capacità di giudizio o siamo vittime del relativismo conoscitivo?

Quello che mi spaventa di più è che neanche noi abbiamo una piena consapevolezza di noi stessi, e soprattutto se il nostro comportamento all’interno della società è condizionato dai giudizi di chi ci sta attorno, che sono tutti diversi e non riusciamo nemmeno a capire quali siano, perché dobbiamo preoccuparci di esserne all’altezza e di comportarci di conseguenza? Perché noi tutti ci preoccupiamo delle apparenze e di quello che gli altri pensano di noi. Qual è il fine del desiderio di gloria o di potenza dei grandi della storia, ma anche di tutti noi che bramiamo di essere in qualche modo importanti, se non quello di rimanere impressi nel ricordo della gente di generazione in generazione? Ma il Napoleone dei libri di storia e persino quello del “cinque maggio” di Manzoni, corrisponde a quello vero? A questo punto se non è così, quale lo scopo di una vita votata alla fama.

Viceversa, tutti abbiamo degli eroi: la mamma o il papà da bimbi, Madonna da ragazzi e Rita Levi Montalcini da grandi. Quale lo smarrimento a pensare che loro siano diversi da come ce li siamo figurati. Quale l’inquietudine a realizzare che, esattamente come noi, sono flusso indistinto. Siamo uno per noi, centomila per gli altri, ma nessuno in realtà.

Secondo Pirandello dovremmo vivere in comunione col mondo, seguendo le sensazioni del momento, come fanno le chiome degli alberi che si lasciano agitare dal vento. Ma allora mi chiedo: a quale scopo? Il filosofo che si distacca dal mondo, smette di vivere e non arriva comunque a conoscere la verità. È vero: la vita è così breve e priva di certezze e non possiamo capirla davvero, ma io non voglio rinunciare a viverla. Con questa consapevolezza, dico, svincoliamoci dai giudizi negativi degli altri che possono influenzarci eccessivamente, non siamo egoisti e stolti a pensare che la cosa più importante sia quella di essere ricordati in eterno come persone buone. Viviamo liberi, e comunque lottando (perché a questo non rinuncio) per far sì che almeno i nostri cari imparino a vedere la nostra maschera, così come la vediamo noi.