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L'EDITORIALE

“Not all men, but all women”, che cosa sta sbagliando la società?

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Il 97% delle donne negli Stati Uniti è stato vittima di catcalling, abusi, stupri, immagini pornografiche ricevute senza richiesta e molto altro. Sempre in America una donna su sei è vittima di stupro, in Italia invece negli ultimi 5 anni sono 2 milioni 435 mila quelle che hanno subito almeno una forma di violenza fisica o sessuale.

“Not all men, but all women”è questa la frase che da ormai diversi giorni mi ritrovo sulle homepage di diversi social, tra cui Instagram e Tik Tok. L’hastag “not all men” (non tutti gli uomini) esiste già da diversi anni e viene spesso usato in risposta ad episodi di violenza contro le donne.

Nell’ultima settimana, dopo il rapimento di Sarah Ervard a Londra, moltissime persone si sono mobilitate nelle piazze londinesi e sui social per ricordare che sono ancora troppe le donne in tutto il mondo vittime di violenza.

Considerare abuso “solo un ipotetico stupro”

Molto spesso parlando con i miei amici, sia maschi che femmine, vedo troppo stesso minimizzato il tema dell’abuso nei confronti di una donna.  Mi viene sempre risposto che il più delle volte siamo davanti a reazioni esagerate, ma è davvero così?

Prestare attenzione a come ci si veste, non camminare sole alla sera in luoghi isolati, sentirsi chiamare delle poco di buono, una suonata di clacson: queste sono tutte cose che purtroppo nel mondo femminile sono ormai minimizzate, se non normalizzate.

Uno stupro non è paragonabile a una palpata o più semplicemente ad una suonata di clacson, ma questo non rende le ultime due cose meno “abusi”.  Sono diversi tipi di molestia? Sì, una è quasi verbale, le altre due decisamente più fisiche, ma ricordiamoci che stiamo comunque parlando di molestia.

Un tu per tu con la propria sessualità

Una ragazza può reagire a uno stupro tanto male quanto un’altra può farlo per una palpata, tutto dipende dalla persona in questione, dalla propria personalità e sensibilità.

C’è un motivo se la sessualità è una cosa privata, che non si “sbandiera ai quattro venti”, ognuno la vede e la vive a modo suo, senza che siano gli altri a decidere. Quando questa sessualità, questa linea privata, viene forzata in qualsiasi modo può suscitare diverse reazioni non volute, che di sicuro non fanno piacere a nessuno.

La persona che abusa è l’unica ad avere la colpa

Mettiamocelo in testa, non è mai colpa di una ragazza o del suo comportamento, un abuso resta un abuso e il dito va puntato contro la persona che lo compie.

Una donna è libera di vestirsi corta e andare ad una festa in piena notte da sola e non per questo deve temere di essere stuprata. A noi ragazze non dovete dire di vestirci bene o di trovare un ragazzo che ci accompagni a casa “solo per sicurezza”, bensì dovete insegnare agli uomini a comportarsi.

Un vestito attillato non è consenso, così come non lo è l’essere ubriaca, l’andare in giro da sola tardi, l’atteggiarsi in maniera più “sexy” e tante altre cose.

Non tutti gli uomini sono così

Non siamo stupide, lo sappiamo che generalizzare non serve a nulla ed è anche sbagliato. Allo stesso tempo provate a mettervi nei nostri panni ogni volta che vi balena nella mente questo concetto di “non tutti gli uomini sono così”.

Devo veramente scrivere quante volte mi sono arrivate foto non richieste da uomini che neanche conoscevo? Quante volte mi sono state richieste direttamente delle foto di questo genere? Ogni giorno che torno da allenamento, camminando per neanche quindici minuti, i clacson che sento suonare sono minimo due. Tutte le palpate in discoteca o le avances di sconosciuti dopo aver detto chiaramente di no.

Purtroppo non sono solo io a vivere queste cose, ma altre innumerevoli ragazze, donne e bambine. Non vogliamo generalizzare o esagerare quando parliamo e riparliamo di questi argomenti, volgiamo solo fare capire alle future generazioni e agli uomini stessi che cosa comportano delle loro ipotetiche azioni.

Not all men

Usare questo hastag “not all men” oltre che essere irrispettoso e ridicolo è anche sinonimo di incoerenza e poca capacità di comprensione: nessuna di noi quando parla di abusi dice “tutti gli uomini sono così”. Non siamo davanti ad una lotta maschi contro femmine, ma siamo in una continua battaglia contro chiunque compia abusi.

L'EDITORIALE

ISTRUZIONE/A scuola si muore

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1) Ti sparano

L’istruzione è un diritto. In una società moderna come la nostra non ci dovrebbe essere ombra di dubbio. Forse un diritto potrebbe essere anche quello di sentirsi al sicuro nelle scuole, quanto basta da non essere freddati in corridoio.

In un istituto del Tennessee, USA, ieri hanno ammazzato tre adulti e tre bambini. Colpevoli due fucili d’assalto e una pistola, di certo non il materiale per un colloquio con la maestra.

È una storia già sentita, i nomi degli assassini si ricordano poco, quelli delle vittime anche meno. Ogni volta che sparano a scuola questioniamo (legittimamente) chi ha premuto il grilletto, ma poco importa ai più il fatto che parte delle armi sono state acquistate legalmente. Qualcuno ha permesso una facile distribuzione delle armi da fuoco.

Non per minimizzare le vite di coloro che a scuola lavoravano, ma sono morti dei bambini di nove anni, che a scuola andavano obbligati. Da qualche parte ci sono dei genitori che hanno mandato a morte i propri figli, aiutandoli a fare lo zainetto la mattina.

2) Ti uccidi

Non dobbiamo cercare negli Stati Uniti gli studenti che si sono tolti la vita a scuola, ce ne sono molti anche in Italia. In questo caso risulta più difficile puntare il dito contro il reo, dato che l’azione più estrema di tutte è il frutto di molti fattori, che conosce solo chi decide di compierla.

Però ci si può chiedere: perchè a scuola?

Magari la goccia che fa traboccare il vaso è un attacco d’ansia, magari l’obiettivo è mandare un messaggio. Nella seconda ipotesi, la più probabile a mio avviso, si intravede il ruolo significativo ricoperto dal luogo, dove si insegna, si impara, si cresce. Si lascia il segno, anche. Magari il silenzioso e inascoltato grido d’aiuto della 19enne che due mesi fa si è suicidata allo IULM di Milano, nei bagni, sarà ricordato.

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IRAN/Quando il problema è di chi comanda

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Che cosa è un cittadino? Usando la definizione di Treccani: “Chi appartiene a uno stato (cioè a una comunità politica, a una nazione), e per tale sua condizione è soggetto a particolari doveri e gode di determinati diritti”. E lo stato non è forse la quintessenza della volontà dei cittadini che lo compongono?

La repressione

Al termine di un 2022 di continue proteste, ci chiediamo se le donne, sempre più soffocate in Iran, si possano definire cittadine di uno stato che non viene loro incontro, e che certamente non le rappresenta.

Perché è indubbiamente semplice chiudere un occhio sull’insignificante questione dei diritti umani, ma irrazionale non aspettarsi che il popolo da te rappresentato non vada d’amore e d’accordo con questa decisione.

Le risposte violente delle autorità, condite da sparatorie sulla folla, interrogatori duri (leggi: tortura) e molti altri trattamenti di favore, fanno presumere che il presidente, Ebrahim Raisi, non abbia davvero tutto sotto controllo, come invece ha fatto intendere nelle sue ultime dichiarazioni.

Il ruolo dello sport

Come già abbiamo potuto osservare in molti scenari di questo stampo, lo sport si fa spesso carico delle voci più coraggiose, che mettono in gioco il percorso di una vita, le fatiche degli allenamenti e la possibilità di partecipare a competizioni importanti, nella speranza di un futuro migliore.

Tutte le donne che dall’Iran fanno sentire la protesta attraverso lo sport vanno riconosciute, ma sentiamo particolarmente vicine la 22enne Mahsa Amini, fermata a Teheran e arrestata perché non indossava correttamente l’hijab, morta tre giorni dopo, e Elnaz Rekabi, la scalatrice vittima di numerose minacce, la cui casa è stata persino demolita (la CNN su Twitter).

“Ci moltiplichiamo”

Queste le parole di speranza che hanno iniziato a circolare su Twitter, da quando Sara Khadim ha partecipato, senza l’hijab, al campionato del mondo di scacchi in Kazakistan. La giovane donna, di soli 25 anni, ha dimostrato una strenua resistenza nei confronti delle minacce ricevute, e il suo contributo alla causa è senz’altro molto discusso.

A farsi sentire, però, non è solo qualche sportivo o alcuni personaggi di rilievo, ma da circa tre mesi continuano le proteste da parte di un popolo piegato dalla tirannia: queste di recente hanno assunto anche i primi colori della violenza (molotov lanciate in edifici religiosi), preannunciando un non così lontano botta e risposta tra polizia e manifestanti.

Fino a che punto si considerano accettabili le azioni di un popolo delegittimato? Ribaltare il potere può davvero portare al miglioramento della condizione delle donne in Iran?

 

 

 

 

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L'EDITORIALE

Il futuro di un ritorno al passato

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La questione ha origine in Russia, paese di cui attualmente si parla parecchio, in questo caso per un motivo differente ma in un qualche modo pertinente: la Duma, la camera bassa del parlamento, ha approvato una legge contro la “propaganda gay”.

Quest’ultima impedirebbe di discutere della cultura lgbt+ e gender non più soltanto ai minorenni, com’era stato dal 2013 a oggi, ma anche agli adulti: infatti anche solo parlarne incentiverebbe a impostazioni sessuali esenti dalla tradizione.

Sarebbe dunque il caso di limitarsi a un’informazione che sostenga invece il concetto di famiglia tradizionale (definizione che include una critica nei confronti di coloro non vogliono avere figli) proprio durante il coinvolgimento in una guerra ibrida e allontanarsi ulteriormente dall’occidente e dal progressismo?

Infatti per il paese calato in una situazione del genere, diventa insufficiente proteggere soltanto i figli, bisogna estendere il provvedimento a tutta la società, nonostante si sottintenda che i suoi legittimi componenti debbano rispettare il prototipo cishet, in nome dell’eteronormatività.

Ognuna delle motivazioni sopra elencate sarebbe valida se non si parlasse di diritti umani e civili, della limitazione della libertà di una parte della comunità in un modo e di questa nella sua totalità in un altro.

Così le violenze a danno di persone lgbt+ sono diffusissime all’interno del paese, molte preferiscono non denunciare per paura di ritorsioni.

Sorge quindi spontaneo chiedersi quali potrebbero essere le prossime evoluzioni di questa situazione: le norme previste subiranno ulteriori restrizioni? o si preferirà lasciar andare la presa, così da contribuire alla diffusione del benessere?

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