Alberto Zali/Il sogno delle arti marziali

Di Alberto Zali – Tutto risale a dodici anni fa. La prima volta che entrai nel dojo mi sembrò immenso. Lo ricordo come se fosse ieri. La mente che vaga in quegli infiniti 50 metri quadrati, il palché in legno un poco sconnesso che cigola sotto i piedi, noi bambini che urlavamo, piccoli guerrieri che sognavano di lanciare onde energetiche.

Ho trascorso anni a cercare di capire cosa il karate fosse per me. Uno svago, uno sfogo, una sfida personale? Forse, è sempre stato un po’ tutte queste cose. È un po’ dipeso dai periodi che si sono susseguiti dalla mia infanzia alla mia adolescenza. Prima era chiaramente un modo come un altro per divertirmi. Poi arrivano le prime delusioni: allora lo vuoi sfondare quel colpitore, ogni tuo pugno, ogni tuo calcio è un pezzettino di rabbia che butti fuori da te. E poi diventa una sfida, una sfida con te stesso, perché la rabbia diventa voglia di riscatto e l’unico modo che hai di riscattarti è essere il migliore.

26 Maggio 2014: finalmente, dopo 8 lunghi anni ho la cintura nera. È un traguardo immenso, il premio a tutti i miei sforzi. La indosso con fierezza, appendo in camera il diploma e lo osservo con compiacimento e ammirazione, mentre mi sta dicendo: “Ce l’hai fatta!”. Ce l’ho fatta… Ed ora?

Ora mi accorgo che non voglio più smettere. La cintura nera un traguardo? Mai nella vita! Quel giorno è stato per me una nuova partenza. Gli allenamenti si complicano, giorni e giorni dedicati a performare un solo esercizio in cui ogni volta scopro nuovi principi. E non hai neppure un traguardo questa volta: una volta conseguita la nera gli esami sono volontari e richiedono anni di preparazione. Capite? È pura forza di volontà!

Il karate è diventato per me uno stile di vita. Ora so che non ci sono ostacoli che io non possa superare. Ora so che se c’è un muro troppo alto per vedere oltre non per forza devo abbatterlo a pugni, devo solo trovare una porta, una crepa da cui passare. Ora so che, sì, dire “chissene frega” di fronte alle difficoltà è più facile, ma forse così non vivrei a pieno la mia vita.

Dodici anni. L’adrenalina che sale ed ogni volta che entro in palestra è come la prima. Manca un giorno: lunedì l’esame per conseguire il secondo Dan, con la consapevolezza che anche questo è solo un nuovo inizio. E la metà dov’è? Ma soprattutto deve per forza esserci una meta?