Scuola/ La bellezza dell’insegnare

di Chiara Sanfilippo

– Ecco un’intervista ad un’insegnante di francese ormai in pensione. Docente alle scuole medie di Recco e Uscio durante gli anni 1970-1995 circa, cominciò a lavorare nel 1962 e smise nel 1995, dopo 33 anni passati nelle scuole.

Quando ha capito che voleva cominciare ad insegnare e cosa la ha portato a questa decisione?

“Ho cominciato ad insegnare all’università, quando davo ripetizioni ai ragazzi delle medie. È stato in questo modo che ho compreso che mi piaceva davvero riuscire a fare capire a quei ragazzi ciò che non gli era chiaro a scuola: era una soddisfazione immensa. È stata quella la “molla” che ha favorito il mio ingresso nell’insegnamento”.

Qual’era la cosa che le piaceva di più dell’insegnare?

“Riuscire a capire gli alunni, quindi i loro processi logici, per poterli aiutare. Non sempre chi conosce bene la materia la sa insegnare, poiché è necessario riuscire a comprendere come ragionano”.

Qual’era la parte più difficile dell’insegnare?

“A mio parere la cosa più difficile è riuscire a capire i ragazzi, cos’è che li “trattiene” dall’imparare. Questo però  lo si apprende anche col tempo, non subitamente. Credo che sia importante anche capire e provare ad aiutarli: magari lo studente non segue la spiegazione perché ha altri pensieri o ha altre preoccupazioni”.

Nel suo caso, ha cominciato ad insegnare in una scuola molto presto, a 22 anni. Ora invece si impiega molto ad ottenere un incarico, cosa ne pensa a proposito?

“Non ho avuto una cattedra subito, prima ho ottenuto vari piccoli incarichi di sei ore. Purtroppo però negli ultimi anni le cose sono peggiorate. Un aspetto di rilevante importanza è che oggigiorno per insegnare è necessario fare corsi di psicologia. Ai miei tempi questi esami non erano obbligatori e quindi poteva capitare cominciassero ad insegnare anche laureati, che non sempre sapevano relazionarsi con gli alunni”.

Cosa consiglierebbe ad un/una ragazzo/a che sogna di insegnare in una scuola?

“Consiglierei soprattutto di amare il proprio lavoro, cercare di capire i ragazzi. Un po’ si impara sul campo, confrontandosi con gli alunni. Io avevo dato esami di psicologia e pedagogia, altri miei colleghi no, e quindi spesso erano in difficoltà. Molte volte non è colpa dei ragazzi, ma vi è qualcosa che li spinge a non lavorare, a non impegnarsi; bisogna cercare di coinvolgerli: non essere solo severi, ma sapere entrare nel loro mondo”.

Se potesse tornare indietro, sceglierebbe di nuovo questo lavoro?

“Decisamente si. Mi è piaciuto molto lavorare nella scuola e quando sono andata in pensione la cosa che mi è mancata di più è stato il contatto con i ragazzi”.

 

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