#Oltrelacattedra: Federico Pichetto

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di Raffaele Raminelli

– Cari amici di Sharing, oggi è qui con noi un professore dalla personalità travolgente, impegnato in svariate attività. Giornalista, sacerdote, insegnante. Avete indovinato? Probabilmente si: Federico Pichetto.

Prof, come molti sanno, lei è l’ideatore del progetto Sharing. Da dove nasce il desiderio di proporre un’esperienza del genere agli studenti?

Sharing nasce dalla consapevolezza che senza la realtà non si può vivere. Uno dei problemi per cui le situazioni della vita appaiono cosi complesse e i sentimenti ci feriscono cosi tanto è perché c’è poco spazio per la realtà, la realtà vera. Allora è necessario che ci sia un luogo dove le persone comincino a trovare contatto con la realtà vera.

Come giudica dunque i ragazzi di oggi: giovani sperduti in cerca di un senso?

I ragazzi di oggi sono esattamente quelli della mia generazione. Uno studio sociologico che in America va per la maggiore definisce tutte le persone nate tra il 1980 e il 2000 “millenials”, una generazione che ha sostituito all’ideologia dei propri padri qualcosa di molto più profondo: il dramma dell’esistenza. Abbiamo fatto cambio. Tanto i nostri padri erano appassionati alle loro idee quanto noi invece abbiamo dei drammi con cui scontrarci… Non mi sento giudice dei ragazzi di oggi, mi sento piuttosto parte di un processo che ci riguarda.

Lei per primo è, nel tempo libero, un giornalista di livello nazionale. Quando ha iniziato e perché?

Ho cominciato a scrivere perché avevo necessità di raccontare cose che vedevo non essere raccontate. Mi accorgevo che nel giudicare una notizia o nel commentare i fatti veniva trascurata troppo spesso la compassione, cioè quella virtù grazie alla quale le cose si vedono bene, cioè le si guardano dal punto di vista umano. Ho cominciato dunque in maniera molto amatoriale e questo taglio ha colpito le persone che ho incontrato durante gli anni, tanto che, col tempo, mi sono state proposte esperienze sempre più significative.

Ultima di queste la collaborazione con “ilsussidiario.net”, che ha da qualche giorno lasciato per dedicarsi completamente a Sharing. La domanda è: scelta azzardata o scommessa vincente?

Mah, io credo che con il sussidiario si sia semplicemente concluso un tipo di collaborazione: continueremo sicuramente a lavorare insieme seguendo altre strade. Ora come ora, penso che la cosa più importante sia quella di scommettere su qualcosa che possa restituire voce e dignità ad un’intera generazione. Ritengo che questo progetto, partito un po’ “alla carlona”, si stia rivelando in realtà una possibilità interessantissima – e infatti il mondo della comunicazione incomincia ad accorgersene – per restituire voce ai giovani, le persone di cui si parla sempre ma che non si ascoltano mai.

E qui arriviamo al punto. Dove pensa possa arrivare Sharing tra qualche anno?

Io credo che Sharing, a livello tecnico, possa definirsi una buona pratica replicabile: tutte le scuole possono fare Sharing e sarebbe molto interessante che lo facessero su un’unica piattaforma, quindi che Sharing diventasse il luogo di condivisione dei giovani europei che frequentano la scuola, fanno degli incontri e si scambiano uno sguardo sul mondo. Bisogna valorizzare quella forma di educazione che nasce dal loro rapporto con la realtà in compagnia di un adulto.

Quindi l’obbiettivo è coinvolgere sempre più scuole e ampliare il pubblico…

Si, io credo che Sharing col tempo possa diventare un punto di riferimento nazionale ma forse anche oltre. È un’esperienza viva, che più passa il tempo e più mostra la sua forza di attrazione. In Sharing non c’è niente di finto, tant’è vero che ci sono giorni in cui non si pubblica perché uno si dimentica, altri perché qualcuno sta male o riesce a fare meno lavoro. Sharing è una cosa reale: non c’è nessuna marionetta dietro; ci sono tanti protagonisti.

Prof., lei è sicuramente impegnato con Sharing ma non solo: le sue lezioni di religione sono le più partecipate e apprezzate. Come si fa ad affascinare i ragazzi anche di fronte a materie e argomenti che a volte vengono giudicati inutili?

La risposta è semplice: basta non porsi il problema. Io non mi sono mai preoccupato di affascinare le persone, bensì mi sono sempre posto il problema di entrare e raccontare un pezzo di me. Credo che questo si possa fare con qualunque contenuto, infatti il mio programma, sulla carta, è molto banale: insegno Storia delle Religioni al biennio ed Antico e Nuovo Testamento al triennio, il tutto in dialogo con la cultura moderna, quindi con la poesia, la letteratura, il cinema. Se metti qualcosa di te raccontando quelle cose allora lasci un segno. Il punto è che in classe ci sei tu: se tu ci sei gli alunni se ne accorgono, se mandi una controfigura non te lo perdonano.

L’insegnamento della religione Cattolica si interseca profondamente con la vocazione. Come ha capito che la sua strada era il sacerdozio?

La cosa migliore che posso dire è che ad un certo punto mi sono reso conto che per essere veramente uomo nella mia vita avevo bisogno di un passo diverso, un passo di totale meditazione, di totale consacrazione ad un Amore più grande del mio. Sicuramente il fatto di aver amato, di aver voluto davvero bene a delle persone, mi ha fatto rendere conto che per me, per seguire la mia strada, avevo bisogno di un Amore più grande.

Tirando un po’ le fila… Federico Pichetto è un giornalista, insegnante e sacerdote: come mette in ordine queste sue attività?

Io credo di essere innanzitutto uomo, le altre sono solo apposizioni, come ci insegna la grammatica. Delle apposizioni si può fare a meno, dei sostantivi no.

In conclusione, dove sarà Federico Pichetto tra 10 anni?

Eh, bella domanda! Spero di aver approfondito questo sostantivo, il mio essere uomo, e di averlo incarnato secondo quelle che sono le mie passioni e i miei desideri, soprattutto riguardo l’insegnamento e la mia voglia di andare oltre quello che vedo e che faccio. Non voglio fermarmi al Da Vigo o al Nicoloso ma voglio aprirmi al mondo.

Domani

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