#Oltrelacattedra: Valéry Di Cristofano

di Rossella Carta – Abbiamo qui il piacere di intervistare Valerio, il giovane professore factotum del liceo Davigo.

Prima di iniziare, riportiamo le parole che lui stesso ci ha tenuto a pubblicare, come premessa all’intervista, condizione sinequanon.

“In genere non amo interviste, articoli e cose simili, tanto più che mi riguardino. Viviamo in un mondo dove tutto è immagine e spesso apparenza. E anche quando dietro alle numerose immagini c’è sostanza, il rischio è che si ami essere sotto i riflettori anche (non dico solo, per carità, ma anche) per vana gloria. Io ammiro chi lavora in silenzio con umiltà e dedizione. Facendo il proprio lavoro e, in molti casi, ben di più. Il gratuito è qualcosa di dimenticato: gratuito è ciò che non ha nessuna ricompensa, nemmeno le lusinghe e gli applausi. Spesso io stesso non sono capace di vivere all’altezza di tutto ciò ma questo è il mio obiettivo. Nella scuola, come nella vita! Nella scuola non si fa carriera, non si ricevono medaglie, non c’è nessuno che deve sentirsi primo o migliore degli altri. Ci sono tante persone che lavorano seriamente e che hanno grandi capacità, di questo io gioisco sempre. Troppe volte non siamo capaci di vedere il bene che è nell’altro, il bene che è l’altro. Detto questo, accetto di rispondere per la passione con cui Rossella affronta ogni cosa, anche questo lavoro di Sharing!”

Ti ringrazio! Bene, cominciamo come bravi storici quali ci state addestrando ad essere, con le cause della guerra! Ehm no scusa, dal tuo passato, inizi, studi et cetera.

Anche se ho sempre avuto il pallino di insegnare (un po’ come te, Rossella!), sono tornato al “Da Vigo” per caso: avevo fatto il corso di teologia, ma lavoravo come educatore all’Emiliani di Rapallo dove ho vissuto per alcuni anni un’esperienza molto forte perché lavoravo con ragazzi che hanno gravi difficoltà famigliari. Al “Da Vigo” una docente di religione si era licenziata e mi è stato proposto dalla curia di Chiavari di prendere il suo posto. Ho accettato volentieri tanto più che ero stato alunno del classico alcuni anni prima.

Un’ottima e inaspettata opportunità quindi… Ma come è stato tornare nel tuo liceo, dove hai ripercorso i luoghi delle “sudate carte”?

Fa un certo effetto tornare tra gli stessi banchi e ritrovare come colleghi quelli che sono stati i miei insegnanti. Li si vede da un’altra prospettiva e si scopre, nella maggior parte di loro, un’umanità spiccata che magari, da studente, si intuiva soltanto.

È noto a tutti che tu ti sia sempre impegnato anima e corpo per questa scuola, formando gli orari e sostituendo tempestivamente i docenti assenti, il che richiede un lavoro enorme. Ma detto schietto, chi te lo fa fare?

In una scuola ci sono molte necessità che vanno al di là dell’insegnamento inteso in senso stretto e quindi qualcuno che collabori, in ambiti diversi e a seconda delle proprie capacità, ci deve essere. Devo dire che fare gli orari mi diverte e con tutti i limiti cerco di accontentare le richieste dei docenti: mi piace pensare che se le persone sono contente del loro orario, perché magari permette loro di incastrare altre piccole cose della loro vita, possono lavorare in modo più sereno e rendere meglio. Purtroppo i vincoli di un orario sono molti e sfuggono spesso a chi guarda solo il suo piccolo “metro quadrato”, alunni e adulti. Nelle mattinate con dieci o dodici insegnanti assenti bisognerebbe che qualcuno si dotasse della bilocazione per sostituire tutti e quindi a volte è complicato… far quadrare il cerchio!

A questo punto la chiave di tutto credo sia la passione! Perché ti piace insegnare?

Prima che insegnare mi piace imparare e ogni giorno vengo a scuola per questo. Imparo dalla realtà, dai miei alunni, dai miei colleghi, alcuni dei quali sono davvero dei giganti. Penso alle mie colleghe di storia a cui va una gratitudine immensa e un’ammirazione profonda per il loro impegno straordinario ben al di là di quanto sia loro strettamente richiesto. Mi piace insegnare perché se abbiamo qualcosa che conosciamo è molto bello farne parte con altre persone.

Circolano voci sul fatto che un tuo piccolo sogno nel cassetto sarebbe mollare tutto e andare ad allevare le mucche. È vero? Aspirazioni per il futuro?

[Ride, n.d.R.] Beh ho molti sogni nel cassetto in realtà, la scuola è un mondo che mi piace, le difficoltà tuttavia sono molte e non so se continuerò in eterno a fare questa vita; nell’ultimo anno soprattutto i ritmi sono stati a tratti molto pesanti. Penso che sia però molto bello essere aperti al cambiamento. Non escludo di tornare un giorno al mio paese di origine, “un trou perché au cœur du Jura bernois”; eh sì, spesso dico tra il serio e l’ironico che voglio scappare in Svizzera ad allevare mucche! Non ho certezze sul futuro, tante domande, tanti progetti. Vedremo che cosa sarò capace di realizzare. Ti ridirò tra dieci anni quando sarai una giornalista affermata… o una brava prof di francese!

Da pochissimi anni è intanto già avvenuto un cambio radicale nella tua vita scolastico-lavorativa: dall’abbandono dell’insegnamento della religione cattolica alla “promozione” a professore di storia in francese e anche letteratura, in quanto madrelingua. Come hai vissuto e stai vivendo questa nuova grande responsabilità?

Non si tratta di una promozione ma di un cambiamento. Insegnare religione è stato per me molto bello, anche per il rapporto che si crea con le classi. Passare a fare esclusivamente francese è altrettanto interessante, con tanti stimoli. Prima di tutto è stata la grande possibilità di sfruttare la mia lingua d’origine (nonostante questi svizzeri abbiano un accento chiuso e dicano Septante e Nonante!). Io sono prevalentemente su classi del progetto ESABAC, per cui su Storia in lingua francese, e di fatto il mio vero lavoro è il correttore. Le prove d’esame sono scritte e quindi l’esercitazione è assolutamente indispensabile. Ovviamente poi le prove vanno corrette, ma penso che anche le numerose ore passate a correggere, molte delle quali con le mie colleghe in giorni e orari i più impensati, sia un modo di mettersi al servizio.

Spesso noi ci lamentiamo parecchio perché siamo stremati da questo Esabac, dal corso di studi in generale che è davvero molto impegnativo. Cosa pensi a riguardo?

Beh posso dire che quest’anno sto condividendo in modo molto concreto le fatiche dei ragazzi delle due quinte ESABAC, sapendo bene che cosa significhi stare sveglio di notte nel tentativo di incastrare tutto. Anche questo mi pare molto interessante. Ho molti difetti e limiti ma vorrei che i miei alunni sapessero che le fatiche a cui sono stati sottoposti, talvolta duramente, sono stati vissuti da me per primo e con loro. L’insegnante non è una controparte degli studenti, ma uno che con loro fa un percorso. Lo sanno bene quelli della 5C che coordino e nelle quale passo davvero molte ore (poveri loro!), ai quali ho spesso fatto questo discorso, addolcito da qualche biscotto, perché anche le giornate più dure possono essere umanizzate con piccoli gesti che non costano nulla e aiutano ad affrontare le difficoltà se non con un sorriso, almeno sdrammatizzando.

 

L’intervista si conclude qui, sono rimasta davvero colpita dalla profonda umiltà di questo professore così giovane, che rappresenta una figura chiave nella nostra scuola in quanto si dà davvero tantissimo da fare per tutti quanti. È bello il fatto che egli continui a svolgere i suoi molteplici compiti in silenzio, senza “suonare le trombe”, e tutta la passione che ha e che mette in ciò che fa è evidente in ogni momento. Ho imparato tanto da lui in questi cinque anni, e una frase che mi ha trasmesso e ricorderò sempre è “Enseigner c’est apprendre deux fois” di Joseph Joubert. Mai credere di avere già imparato tutto, di sapere tutto, ma essere sempre consapevoli del fatto che ogni volta che insegniamo qualcosa a qualcuno, i primi ad imparare siamo noi. Grazie davvero Valéry!

#Oltrelacattedra: Valéry Di Cristofano

Verso i quarti di finale!

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