Scegliere: affermazione della volontà o esclusione di altre possibilità?

Durante lo svolgersi di quest’ultimo anno di liceo uno dei temi che abbiamo affrontato in classe, e che, per giunta, dovrò affrontare in prima persona tra poco, è sicuramente quello della scelta.
Grandissimi scrittori fin dall’antichità si sono interrogati su questo tema e ciascuno di loro ha cercato di dare una propria interpretazione a riguardo, primo tra tutti Eschilo che, nell’Orestea, dedica un’intera sezione all’approfondimento psicologico e introspettivo di Oreste che deve decidere se uccidere la madre per vendicare il padre ed obbedire agli dei, oppure dare ascolto al cuore e far vincere il suo legame di sangue, nonché affettivo, con la madre. Attenendomi sempre al mondo classico, il grande scrittore Seneca si occupò, tra i vari argomenti trattati, della questione della scelta. Una decisione che lui stesso dovette prendere in prima persona caratterizzata dal rapporto otium-negotium apparentemente difficile, ma che lui riesce a far funzionare utilizzando l’otium al fine di un miglior negotium; detto in altri termini, se si identifica con otium il suo speculare filosofico e, con negotium, i doveri del cittadino nella società si arriva alla conclusione che il politico saggio debba utilizzare come metro di giudizio e di azione la filosofia e, in particolar modo, l’etica.
Facendo un salto in avanti nella linea temporale si nota come anche nel panorama della letteratura italiana non manchino certo esempi; Pirandello, per l’appunto, si presenta come un amante del tema: Il personaggio di Vitangelo Moscarda, protagonista di Uno, nessuno e centomila, è uno dei più complessi personaggi pirandelliani che vuole scindere quello che pensa di essere dalle cosiddette “forme” attribuitegli dagli altri. Bisogna accettare, però, che non sempre la nostra scelta è attuabile, che non siamo onnipotenti: le maschere, infatti, non sono esclusivamente una scelta con la quale ci proponiamo agli altri, ma è anche un meccanismo altrui che, partendo dal giudizio come parametro universale, sviluppa una propria percezione di un altro individuo.
In ambito filosofico Kierkegaard teorizzando nell’ Aut-Aut la possibilità dell’uomo di compiere una decisione unidirezionale, afferma che la scelta determina il tipo di vita che l’uomo vuole intraprendere. La scelta, però, assume una connotazione negativa se si pensa che, proprio per la sua unidirezionalità, ne esclude automaticamente altre. La scelta, dunque, deve essere considerata una cosa positiva in quanto affermazione del proprio libero arbitrio o un aspetto negativo se intesa come esclusione meccanica e necessaria di altre possibilità? Per arrivare ad una meta prefissata occorre spesso andare oltre, attraversare questa ferita: l’esito sarà proporzionale all’intensità della sofferenza provata. Un chiaro esempio di questo aspetto è un discorso intitolato “La visione e l’enigma” del filosofo Nietzsche in cui narra della presenza di due emblematiche scelte esistenziali. La prima è quella del protagonista, avvenuta in una visione nella quale egli, in compagnia di un nano, arrivato ad una salita su un impervio sentiero di montagna, vede che esso si dirama in altri due sentieri “che nessuno ha mai percorso fino alla fine”: il primo è quello che porta indietro (al passato) l’altro in avanti (al futuro): è il momento di prendere una decisione che si concluderà con la manifestazione concreta dell’Eterno Ritorno. In questo breve racconto Nietzsche affronta la metamorfosi che avviene da uomo a superuomo dopo aver necessariamente vinto la ripugnanza soffocante del pensiero dell’eterno ritorno di quella sofferenza. Questo superamento lo ha portato ad accettare e a contemplare ciò che prima denigrava: accoglie in sé la concezione tragica e dionisiaca dell’esistenza, dice sempre “Si” alla vita, sopporta la morte di Dio trovando le risposte in sé. Il tutto è partito con una scelta, indubbiamente difficile, che però è riuscita a trasformare il suo essere.
Insomma, per concludere, la scelta è indubbiamente una prerogativa necessaria dell’uomo a prescindere dal contesto socio-culturale o dall’arco temporale in cui si trova, detto ciò, resta il grande arcano del come affrontare la scelta. Per quanto mi riguarda non bisognerebbe solo limitarsi ad accettare passivamente questa realtà necessaria, ma affrontare di petto e con razionalità ogni decisione ci si ponga davanti, tenendo sempre a mente che interrogarsi sul “come sarebbe potuto essere se…” sia un’inutile perdita di tempo dal momento che la scelta presa deve essere frutto di un ragionamento ben fondato e, dunque, rende inevitabilmente il rimpianto un aspetto infondato.

Scegliere: affermazione della volontà o esclusione di altre possibilità?

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