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ATTUALITA'

Paura e terrorismo: perché non bisogna rifugiarsi dietro le parole della Fallaci!

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di Chiara Olcese

– Uno dei danni collaterali degli attacchi terroristici che stanno insanguinando questi mesi, uccidendo vittime innocenti in ogni parte del mondo, sono gli stati online e le citazioni di coloro secondo i quali Oriana Fallaci aveva ragione.

La rabbia e l’orgoglio di Oriana Fallaci e la sua teoria.

“Noi occidentali e cristiani vittime dei musulmani tagliagole e assassini in nome di Allah”

Cosi descriveva la situazione del tempo la Fallaci le cui tesi sono state tirate fuori dai cassetti dimenticati dopo la strage di Parigi e l’assalto al Bataclan, in seguito all’attentato a Bruxelles del marzo scorso, poi di nuovo a giugno dopo l’ assalto di Omar Mateen in un club gay in Florida, ritornando infine alla strage sul lungomare di Nizza e, adesso, dopo il recente attacco a Londra.
Citare la Fallaci, dunque risulta come un trand e come una sorta di risarcimento postumo.
Risulta ormai automatico quando avviene un attacco di natura terroristica tirare fuori dall’armadio la Fallaci e le sue tesi scritte di getto qualche giorno dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, a seguito del quale diede dimostrazione in modo schietto e diretto tutto il suo senso di frustrazione e rabbia per l’avvenimento disastroso appena accaduto.

Ma davvero la scrittrice aveva individuato le soluzioni giuste per combattere il terrore islamista?

Molti, come dimostrato, considerano ancora il libro della Fallaci come assolutamente inconfutabile, forse per una fissazione o chiusezza mentale o forse semplicemente per ignoranza e paura del diverso.

Il libro presentava gli argomenti in modo drastico con una notevole mancanza di flessibilità e di pragmatismo, evidenziando in modo assoluto la superiorità dell’ Occidente cristiano e la violenza religiosa della cultura islamica. Una tesi presentata, peraltro, quando il mondo si presentava in modo diverso rispetto a oggi.
Ma la strategia politico-militare negli ultimi anni ricalca abbastanza bene le teorie di Oriana Fallaci, soprattutto in America, ma non solo.
Ma questo approccio direttamente collegabile alle sue teorie ha risolto qualcosa? Il terrore imposto dall’Isis è stato vinto? Il Medio Oriente è stato pacificato? La risposta a queste domande é, purtroppo, ancora no.

Un atteggiamento costruttivo

Onde evitare di sfociare in un altro estremismo che generi odio e dissidi, come quello prodotto da Oriana Fallaci, ci proponiamo di trovare una sorta di compromesso fra le due posizioni. L’odio genera altro odio, la vendetta altra vendetta, in una spirale infinita di morte e distruzione. Mostrare odio a chi al momento ci odia non è un atteggiamento costruttivo: ce lo insegna la storia, non a caso i più grandi conflitti si sono conclusi con una pace piuttosto che con la vittoria di uno dei due schieramenti. Anche se la situazione ci sembra persa, irrecuperabile, non dobbiamo commettere lo stesso errore dei terroristi: una mentalità del genere, dobbiamo ricordare, in passato ha portato al Nazismo!

Non bisogna però – e in questo diamo ragione alla Fallaci – pensare che tutto si possa risolvere miracolosamente da un giorno all’altro. Dobbiamo stare all’erta, essere preparati per non finire come martiri e cercare di sventare quanti più attentati possibile non abbassando mai la guardia. Ma questo non significa che dobbiamo rivolgere parole o ancor peggio atti di disprezzo e di condanna nei confronti di chi è diverso da noi e convive pacificamente con noi nella sua diversità. Perchè, talvolta, da chi è diverso da noi possiamo imparare molte più cose che non da chi è uguale a noi.

Se invece non la pensi come me, leggi pure quest’altra opinione circa la Fallaci e le sue teorie

L’attentato dell’Isis a Londra/Le parole di Oriana Fallaci, Cassandra dei nostri tempi

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POLITICA E ALIMENTAZIONE/La guerra agli hamburger di soia

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I prodotti a base vegetale stanno riempiendo sempre di più gli scaffali dei supermercati italiani.

Oggi è possibile sostituire i tradizionali prodotti a base di carne con hamburger di soia, salsicce di seitan o polpette vegetali. Il nome “hamburger di soia”, per esempio, può risultare paradossale, ma non in un mondo dove il futuro della carne è vegetale.

9 italiani su 10 sono favorevoli all’utilizzo di termini come questo, che rimandano inevitabilmente al mondo della carne con lo scopo di rendere il consumatore più consapevole del prodotto e promuovono scelte alimentari più salutari e sostenibili. È indubbio che si tratti di marketing, ma è davvero un tema su cui dover discutere?

Per alcuni deputati della Camera, sì.

Una proposta di legge che vuole vietare l’uso di nomi riconducibili alla carne per i prodotti vegetali è stata infatti presentata nella Commissione Agricoltura della Camera. L’obiettivo di questa legge è quello di difendere gli allevamenti e la produzione di carne italiana, che sarebbero svantaggiati dalla concorrenza di scelte alternative. Prodotti come la “bresaola di seitan” o la “bistecca di tofu” potrebbero, secondo i promotori della legge, indurre chi compra a pensare erroneamente che questi alimenti siano esattamente identici alla carne a livello nutrizionale.

Secondo l’organizzazione per i diritti animali “Essere Animali”, l’argomento della legge è fuorviante, perché ci sono differenze nutrizionali anche tra prodotti a base di carni diverse con lo stesso nome. I prodotti che usano questo tipo di termini, inoltre, avvicinano le persone a un’alimentazione più veg, una scelta migliore non solo per la salute ma anche per l’ambiente.

La proposta di legge, infatti, non considera i vantaggi a livello di sostenibilità ambientale che offre l’alimentazione vegetale: un report della Commissione Europea ha dimostrato che il settore zootecnico (una parte del settore primario che consiste nell’allevamento, nell’addomesticamento e nello sfruttamento di animali a fini produttivi) è responsabile per l’81- 86% delle emissioni totali di gas serra nell’agricoltura.

Per questi motivi Essere Animali ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di impegnarsi a bloccare la proposta.

 

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MALASANITÀ/Il dramma del neonato morto al Pertini

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L’otto gennaio di quest’anno, al ospedale Pertini di Roma un neonato è morto soffocato quando la madre che lo stava allattando si addormenta.

Successivamente la procura ha aperto un fascicolo: “omicidio colposo”.

Intanto però la notizia si diffonde, e il padre del neonato racconta al Messaggero di come la donna fosse sfinita e priva di energie dopo ben 17 ore di travaglio.

La moglie aveva più volte chiesto ai responsabili del reparto di portare il neonato al nido del ospedale per poter riposare, anche solo per qualche ora.

Ma il permesso le era sempre stato negato.

Nei giorni successivi il fatto ha scatenato un accesso dibattito riguardante le procedure post-parto degli ospedali.

Infatti, negli ospedali solitamente è previsto il cosiddetto “rooming-in”, ovvero il neonato subito dopo il parto, viene tenuto nella stessa stanza della madre anziché in una camera in comune con altri neonati.

A questa pratica però, dovrebbe essere sempre proposta un alternativa cioè la gestione dei neonati da parte del Asilo del ospedale, fino al termine della permanenza.

Questa seconda opportunità non viene sempre tenuta in considerazione, e centinaia di donne nei giorni scorsi hanno raccontato la loro esperienza denunciando che la possibilità di usufruire del nido ospedaliero sia stata loro  negata.

Le domande che ci si pongono in questi casi sono molteplici: Cosa sarebbe accaduto se questa donna avesse potuto riposare per qualche ora? O anche solo sé qualcuno avesse avuto cura si sorvegliarla e assisterla? La pratica di rooming-in vale per qualsiasi situazione? È  davvero la scelta più adeguata?

Il drammatico evento che ha portato  il decesso del neonato di Roma dovrebbe stimolare le coscienze e una azione diretta delle istituzioni per tutelare maggiormente la salute delle donne dopo il parto.

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DALL'EUROPA

MODA/Un italiano al timone di Luis Vuitton

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Pietro Beccari è il nuovo amministratore delegato e presidente di Louis Vuitton. Un italiano, dunque, guiderà la marca francese di lusso più nota al mondo fondata da Bernard Arnault. Beccari succederà a Michael Burke. Mentre alla guida di Dior andrà Delphine Arnault, figlia primogenita dell’imprenditore attualmente “uomo più ricco del mondo” secondo Forbes. Un cambio ai vertici che era nell’aria e attendeva solo la conferma ufficiale. Questo è forse il primo dei molti i cambiamenti che attendono il mondo della moda per questo 2023, nel management come nelle direzioni creative.

Pietro Beccari, parmense classe 1967, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore marketing di Benckiser (Italia) e Parmalat (Usa), per poi passare alla direzione generale di Henkel in Germania, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione Haircare.

Nel 2006 è entrato in LVMH in qualità di vicepresidente esecutivo marketing e comunicazione per Louis Vuitton, prima di diventare Presidente e ceo di Fendi nel 2012. Da febbraio 2018 è presidente e ceo di Christian Dior Couture, oltre che membro del comitato esecutivo di LVMH.

“Pietro Beccari”, ha commentato Bernard Arnault, fondatore e CEO di LVMH: “ha svolto un lavoro eccezionale in Christian Dior negli ultimi cinque anni. La sua leadership ha accelerato il fascino e il successo di questa iconica Maison. I valori di eleganza di Monsieur Dior e il suo spirito innovativo hanno ricevuto una nuova intensità, supportata da designer di grande talento. La reinvenzione della storica boutique al 30 di Montaigne è emblematica di questo slancio. Sono certo che Pietro condurrà Louis Vuitton a un nuovo livello di successo e di desiderabilità”.

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