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TTIP: un rischio o un’opportunità di crescita?

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Di Fabrizio ed Alison   •  Probabilmente ne avete sentito parlare molto raramente, e questo è un motivo per esserne spaventati. Stiamo parlando del TTIP, acronimo di Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti), ovvero il trattato in fase di discussione che aprirebbe il libero mercato tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti.
L’idea, lanciata nel 2013, ha per obiettivo quello di abbattere i dazi doganali, agevolare gli scambi commerciali tra le due sponde dell’Atlantico e aumentare così la concorrenza.

Chi è a favore dell’accordo sostiene che una maggiore competizione porterebbe a un abbattimento dei prezzi e a una rivitalizzazione dell’economia. L’approvazione del TTIP, inoltre, consentirebbe di creare un contrappeso ai grandi blocchi commerciali che si stanno formando in Asia e in Medio Oriente.

Chi invece si oppone al trattato afferma che dietro la facciata del libero scambio si nasconde in realtà la volontà di agevolare la privatizzazione, spianare la strada al consumo di alimenti OGM e di carni contenenti ormoni. Il controllo sulle filiere produttive è infatti molto più attento e severo nell’Unione Europea che non negli Stati Uniti.

Questo aspetto preoccupa le associazioni dei consumatori che vedono un’eventuale approvazione del TTIP come un drammatico passo indietro sulla strada del consumo sicuro, uno dei principali obiettivi dell’UE. Se adesso un cittadino europeo può acquistare prodotti con una relativa sicurezza sapendo che sono stati sottoposti a controlli rigorosi, con la ratifica del Partenariato Transatlantico per il Commercio e gli Investimenti dovrà mantenere un’attenzione maggiore perché accanto agli alimenti che acquistava in precedenza troverà quelli di oltreoceano che non garantiscono gli stessi standard di controllo.

Molti esponenti del fronte anti-TTIP giocano sulla paura che deriva da questo possibile scenario futuro. Un esempio è quello dei cosiddetti “polli al cloro”: negli Stati Uniti è concesso lavare la carne con il cloro prima di confezionarla. La Commissione Europea ha già chiarito che le norme igieniche in vigore in Europa non saranno modificate.

Nel comparto agricolo e in quello dell’allevamento le leggi sono molto differenti: negli USA si possono impiegare pesticidi rigorosamente vietati nell’UE e somministrare al bestiame ormoni che accelerano la crescita, pratica proibita in Europa.

L’approvazione del trattato, comunque, dovrà essere ratificata dal parlamento europeo, dai governi e dai parlamenti dei Paesi membri, che potrebbero anche indire referendum. Non è chiaro quale sarà la posizione del Regno Unito in seguito alla consultazione referendaria che ha visto prevalere i voti favorevoli all’uscita del Paese dall’Unione.

Il maggiore interrogativo è se i vantaggi economici debbano prevalere sugli imperativi etici e se la salute e la tutela dei consumatori siano davvero a rischio.

Riuscirà l’Europa a far valere i suoi princìpi? Ci sarà la volontà politica di farlo?

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POLITICA E ALIMENTAZIONE/La guerra agli hamburger di soia

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I prodotti a base vegetale stanno riempiendo sempre di più gli scaffali dei supermercati italiani.

Oggi è possibile sostituire i tradizionali prodotti a base di carne con hamburger di soia, salsicce di seitan o polpette vegetali. Il nome “hamburger di soia”, per esempio, può risultare paradossale, ma non in un mondo dove il futuro della carne è vegetale.

9 italiani su 10 sono favorevoli all’utilizzo di termini come questo, che rimandano inevitabilmente al mondo della carne con lo scopo di rendere il consumatore più consapevole del prodotto e promuovono scelte alimentari più salutari e sostenibili. È indubbio che si tratti di marketing, ma è davvero un tema su cui dover discutere?

Per alcuni deputati della Camera, sì.

Una proposta di legge che vuole vietare l’uso di nomi riconducibili alla carne per i prodotti vegetali è stata infatti presentata nella Commissione Agricoltura della Camera. L’obiettivo di questa legge è quello di difendere gli allevamenti e la produzione di carne italiana, che sarebbero svantaggiati dalla concorrenza di scelte alternative. Prodotti come la “bresaola di seitan” o la “bistecca di tofu” potrebbero, secondo i promotori della legge, indurre chi compra a pensare erroneamente che questi alimenti siano esattamente identici alla carne a livello nutrizionale.

Secondo l’organizzazione per i diritti animali “Essere Animali”, l’argomento della legge è fuorviante, perché ci sono differenze nutrizionali anche tra prodotti a base di carni diverse con lo stesso nome. I prodotti che usano questo tipo di termini, inoltre, avvicinano le persone a un’alimentazione più veg, una scelta migliore non solo per la salute ma anche per l’ambiente.

La proposta di legge, infatti, non considera i vantaggi a livello di sostenibilità ambientale che offre l’alimentazione vegetale: un report della Commissione Europea ha dimostrato che il settore zootecnico (una parte del settore primario che consiste nell’allevamento, nell’addomesticamento e nello sfruttamento di animali a fini produttivi) è responsabile per l’81- 86% delle emissioni totali di gas serra nell’agricoltura.

Per questi motivi Essere Animali ha lanciato una petizione per chiedere al Governo di impegnarsi a bloccare la proposta.

 

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MALASANITÀ/Il dramma del neonato morto al Pertini

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L’otto gennaio di quest’anno, al ospedale Pertini di Roma un neonato è morto soffocato quando la madre che lo stava allattando si addormenta.

Successivamente la procura ha aperto un fascicolo: “omicidio colposo”.

Intanto però la notizia si diffonde, e il padre del neonato racconta al Messaggero di come la donna fosse sfinita e priva di energie dopo ben 17 ore di travaglio.

La moglie aveva più volte chiesto ai responsabili del reparto di portare il neonato al nido del ospedale per poter riposare, anche solo per qualche ora.

Ma il permesso le era sempre stato negato.

Nei giorni successivi il fatto ha scatenato un accesso dibattito riguardante le procedure post-parto degli ospedali.

Infatti, negli ospedali solitamente è previsto il cosiddetto “rooming-in”, ovvero il neonato subito dopo il parto, viene tenuto nella stessa stanza della madre anziché in una camera in comune con altri neonati.

A questa pratica però, dovrebbe essere sempre proposta un alternativa cioè la gestione dei neonati da parte del Asilo del ospedale, fino al termine della permanenza.

Questa seconda opportunità non viene sempre tenuta in considerazione, e centinaia di donne nei giorni scorsi hanno raccontato la loro esperienza denunciando che la possibilità di usufruire del nido ospedaliero sia stata loro  negata.

Le domande che ci si pongono in questi casi sono molteplici: Cosa sarebbe accaduto se questa donna avesse potuto riposare per qualche ora? O anche solo sé qualcuno avesse avuto cura si sorvegliarla e assisterla? La pratica di rooming-in vale per qualsiasi situazione? È  davvero la scelta più adeguata?

Il drammatico evento che ha portato  il decesso del neonato di Roma dovrebbe stimolare le coscienze e una azione diretta delle istituzioni per tutelare maggiormente la salute delle donne dopo il parto.

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DALL'EUROPA

MODA/Un italiano al timone di Luis Vuitton

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Pietro Beccari è il nuovo amministratore delegato e presidente di Louis Vuitton. Un italiano, dunque, guiderà la marca francese di lusso più nota al mondo fondata da Bernard Arnault. Beccari succederà a Michael Burke. Mentre alla guida di Dior andrà Delphine Arnault, figlia primogenita dell’imprenditore attualmente “uomo più ricco del mondo” secondo Forbes. Un cambio ai vertici che era nell’aria e attendeva solo la conferma ufficiale. Questo è forse il primo dei molti i cambiamenti che attendono il mondo della moda per questo 2023, nel management come nelle direzioni creative.

Pietro Beccari, parmense classe 1967, ha iniziato il suo percorso professionale nel settore marketing di Benckiser (Italia) e Parmalat (Usa), per poi passare alla direzione generale di Henkel in Germania, dove ha ricoperto il ruolo di vicepresidente della divisione Haircare.

Nel 2006 è entrato in LVMH in qualità di vicepresidente esecutivo marketing e comunicazione per Louis Vuitton, prima di diventare Presidente e ceo di Fendi nel 2012. Da febbraio 2018 è presidente e ceo di Christian Dior Couture, oltre che membro del comitato esecutivo di LVMH.

“Pietro Beccari”, ha commentato Bernard Arnault, fondatore e CEO di LVMH: “ha svolto un lavoro eccezionale in Christian Dior negli ultimi cinque anni. La sua leadership ha accelerato il fascino e il successo di questa iconica Maison. I valori di eleganza di Monsieur Dior e il suo spirito innovativo hanno ricevuto una nuova intensità, supportata da designer di grande talento. La reinvenzione della storica boutique al 30 di Montaigne è emblematica di questo slancio. Sono certo che Pietro condurrà Louis Vuitton a un nuovo livello di successo e di desiderabilità”.

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