-Sharing.school torna come ogni settimana con #zainoinspalla, rubrica attraverso la quale si esce dalla quotidianità per immergersi in una realtà vicina, distante o semplicemente “diversa”.
Oggi vi parlerò della mia esperienza su una nave da crociera diretta a Capo Nord, patria dell’Aurora boreale e del “sole a mezzanotte”.
Amburgo, la prima meta
Amburgo è una grande città del Nord della Germania, posta sull’estuario del fiume Elba. È la seconda più popolosa del Paese dopo la capitale ed è famosa per il suo porto, il secondo più grande dell’Unione europea.
Si tratta di una metropoli ricca di aspetti storici e culturali: musei, teatri, concerti, locali storici e d’avanguardia.
Città colta ed economicamente forte, è dal 1945 una città-stato all’interno della Repubblica federale tedesca. Dalle macerie della seconda guerra mondiale, la città è rinata più bella di prima: Il 13% del suolo urbano è costituito da parchi e giardini pubblici (1400 in totale), il 23% da aree verdi protette ed il 6% da riserve naturali. È inoltre un’importante sede universitaria amata molto dai giovani tedeschi, data anche la sua importanza nell’ambito dei mass media e la possibilità di trovare in qualsiasi periodo dell’anno un calendario caratterizzato da eventi di ogni genere.
Della città ho apprezzato l’accoglienza delle persone nei confronti dei turisti e la vita che spopola lungo tutte le vie. Per i ragazzi è senz’altro una meta da prendere in considerazione sia per il continuo divertimento data la costante presenza di eventi di ogni tipo, sia per l’arricchimento culturale che questa città garantisce.
Il porto di Amburgo
Se si capita di visitare questa grande e ricca città non si può certo dimenticare di visitare il suo porto, uno dei più grandi al mondo. Protrae la sua esistenza da oltre 800 anni ed è un luogo perfetto per passeggiare o gustare un’ottima cena presso uno dei tanti ristoranti presenti. Inoltre, il porto è caratterizzato da un leggendario museo navale: la Speicherstadt. Si tratta del più grande complesso di magazzini di deposito merci esistente al mondo. Ognuno di questi era dedicato ad una merce in particolare: spezie, dogana, arte, cultura afghana. Un tempo si trattava di magazzini destinati esclusivamente al commercio, che si sono poi trasformati in luoghi di divertimento e attività culturali.
Geiranger, all’estremo del fiordo
La piccola cittadina si trova in Norvegia e appartiene alla municipalità di Stranda, nella regione del Sunnmøre. È situata in una insenatura del Geirangerfjiord, importante fiordo norvegese e rappresenta il terzo porto più frequentato della nazione, per via delle navi turistiche che nei quattro mesi estivi visitano giornalmente la cittadina.
A Geiranger ci sono cinque hotel e più di dieci camping e la stagione turistica si estende da maggio fino all’inizio di settembre.
Si tratta una piccola parte di mondo che merita di essere guardata almeno una volta nella vita. Il numero di abitanti è molto ridotto e le attività si limitano allo stretto contatto con la natura. Geiranger è un paese “da favole” in cui il verde della natura domina e in cui si ha la possibilità di rinfrescarsi nell’acqua blu del fiordo e tra le montagne
, sempre che la temperatura estiva sia abbastanza alta da permetterlo!
La cascata delle sette sorelle
La cascata si trova su uno dei fianchi del Geirangerfjord ed è la 39^ cascata più alta tra quelle norvegesi. Il nome è legato ad una leggenda locale che vide come protagoniste sette sorelle molto belle e incredibilmente somiglianti tra di loro. Queste, ebbero attirato l’attenzione di un principe di passaggio nella zona, il quale ricevette ospitalità dal padre delle sorelle. Il principe, abbagliato dalla loro bellezza, decise di sposarne una ma, svegliandosi ogni giorno dopo una notte di baldoria, dimenticava quale avesse scelto il giorno prima. Col passare del tempo, le sorelle diventarono inconsolabili e cominciarono a versare lacrime che si tramutarono nei rigoli d’acqua che formano le cascate. Di fronte alle sette sorelle, sulla sponda opposta, si trova la “cascata del pretendente”. Questa, a forma di bottiglia, rievoca le notti trascorse per scegliere la sposa.
Le prime due mete, Geiranger in particolare, mi hanno permesso di conoscere una realtà diversa in cui il rispetto nei confronti della natura circostante predomina.
Ho visto persone felici, che vivono una vita distante dalle tecnologie, dalle nuove invenzioni. Chiaramente lo sviluppo che caratterizza in Paesi nordici è riconosciuto ovunque, ma senz’altro il loro “rinnovarsi costantemente” non lascia da parte un clima di rispetto nei confronti di una natura sempre pulita e rigogliosa come era in passato!
Se sei interessato a conoscere altre realtà vicine, lontane o semplicemente “diverse”, visita questi altri articoli della nostra rubrica #ZainoInSpalla:
La violenza sessuale è un crimine orribile che ha afflitto la società per troppo tempo. È una violazione del diritto fondamentale all’autonomia e all’integrità corporea, e può avere effetti duraturi sulla salute mentale, fisica ed emotiva della vittima. Nonostante sia un problema serio, il tema della violenza sessuale non viene ancora discusso abbastanza seriamente in molte parti del mondo. Questo deve cambiare.
In primo luogo, è fondamentale capire che la violenza sessuale non è mai colpa della vittima. La responsabilità è solo del colpevole. Dobbiamo smettere di incolpare la vittima e invece concentrarci sulla responsabilità del colpevole delle sue azioni. Ciò significa garantire che vengano puniti fino in fondo dalla legge, indipendentemente dal loro genere, status sociale o da altri fattori. Significa anche creare una cultura in cui i sopravvissuti vengono creduti, supportati e non giudicati per aver raccontato le loro esperienze.
In secondo luogo, dobbiamo riconoscere che esiste una cultura dello stupro e lavorare attivamente per smantellarla. La cultura dello stupro è un insieme di credenze, atteggiamenti e comportamenti che normalizzano, scusano o addirittura incoraggiano la violenza sessuale. Può manifestarsi in molti modi, dall’incolpare la vittima alla denigrazione sessuale, dall’oggettificazione all’ harassment sessuale. Sfidando queste norme dannose e promuovendo una cultura del consenso, del rispetto e dell’uguaglianza di genere, possiamo creare una società più sicura e giusta per tutti.
In terzo luogo, dobbiamo dare priorità alla prevenzione e all’educazione. Bisogna insegnare ai giovani le relazioni sane, i limiti e il consenso, e fornire loro la conoscenza e le competenze per riconoscere e resistere alla violenza sessuale. Dobbiamo anche fornire un’educazione sessuale completa e l’accesso ai servizi di salute riproduttiva, nonché affrontare le cause profonde della violenza di genere, come la povertà, l’ineguaglianza e il patriarcato.
Infine, dobbiamo ascoltare i sopravvissuti e centrare le loro voci nei nostri sforzi per porre fine alla violenza sessuale. I sopravvissuti sono gli esperti delle loro esperienze e hanno preziosi contributi e prospettive da condividere. Dobbiamo fornire spazio per parlare alle vittime, permettergli di condividere le loro storie e difendere il cambiamento. Dobbiamo anche garantire che le loro esigenze e desideri siano rispettati e che abbiano accesso al supporto e alle risorse necessarie per guarire e andare avanti.
In conclusione, la violenza sessuale è un problema serio e diffuso che richiede attenzione e azione urgente. Bisogna responsabilizzare i colpevoli, sfidare la cultura dello stupro, dare priorità alla prevenzione e all’educazione dei più giovani.
Oggi tocca a noi fare quello che nessuno si augura. A noi italiani.
Oggi si commemora un gigante, di quelli buoni, tanto imponente da lasciare in lacrime milioni, che si è spento troppo in fretta.
Sergio Mattarella era nato il 23 luglio 1941 a Palermo. Nel 2015 la presidenza della Repubblica. Dal primo momento è stato la luce costante, il faro tanto necessario a un’imbarcazione dispersa. Con pazienza, imparzialità, stabilità ha continuato per anni a vegliare sull’Italia in preda a vertiginosi cambiamenti, restando di fatto l’unica certezza.
Se oggi è un giorno triste, ricordiamo la perseveranza che proprio Sergio ci ha insegnato.
La storia della maternità in carcere
È una storia complessa quella della maternità in carcere ricca di cambiamenti.
Tutto parte nel 1975, quando con la legge 354 viene concesso alle detenute di tenere con sé i figli fino al raggiungimento dei tre anni di età.
Successivamente nel 1986 la legge 663 permetteva la detenzione domiciliare in caso di buona condotta, questa proposta riguardava però solo le donne che dovevano scontare una pena inferiore ai due anni; infatti, solo nel 2001 verrà concessa la detenzione domiciliare speciale a tutte le detenute.
La vera svolta avvenne nel 2011, quando vennero istituite le case-famiglia protette, ovvero un luogo alternativo al carcere dove madri e figli possono convivere.
Le conseguenze sulla vita dei bambini.
Sono molteplici gli effetti che i bambini cresciuti all’interno delle mura carcerarie possono riscontrare nel tempo tra i quali: difficolta nel parlare e un vocabolario minimo, sviluppò ridotto delle capacità motorie, scarsa interazione sociale, rifiuto verso la società che li circonda.
Inoltre, molti convivono con l’ansia costante di essere abbandonati dalla madre e per questo motivo fanno fatica ad allottarsi da lei anche solo per poco tempo.
Le nuove proposte di legge
A maggio 2022 venne enunciata una nuova proposta di legge, la legge Siani, approvata dalla camera ma successivamente bloccata al Senato.
Nel marzo 2023 venne proposta una nuova legge in sostituzione di quella vecchia: La legge Serracchiani.
La legge Serracchiani prevedeva tra le altre cose la possibilità, ma non l’obbligo, dello stato di finanziare la costruzione delle case protette.
Inoltre, tentava di tutelare i diritti dei bambini e delle donne in gravidanza, cercando di impedire che i bambini trascorressero in carcere i primi anni della loro vita.
Questa proposta è stata pero bloccata settimana scorsa in commissione giustizia.
Ciò che si evince da tutti questi avvenimenti è che ancora oggi non esiste una legge che riesca a tutelare i diritti dei bambini e delle loro madri.
Questo non significa non tenere conto della gravità dei reati e dell’obbligo di scontare la pena, ma cercare di garantire dignità e diritti a quei bambini che dei reati non hanno colpa. Secondo la nostra costituzione tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge, e da ciò non devono essere esclusi i figli delle detenute.