TRUMP ORDINA DI UCCIDERE SOLEIMANI/Come l’Arciduca Ferdinando: siamo all’alba di una guerra?

Se per un attimo proviamo a fermarci, all’interno dell’infinito flusso di notizie che perviene sui nostri dispositivi elettronici, ne troveremo una – con cui stamane tutti i siti online del mondo aprono – che non può e non deve essere liquidata come una “questione di politica estera”: l’uccisione del generale Qassem Soleimani, 62 anni, numero due della gerarchia del potere iraniano.

 

La Repubblica Iraniana

Riavvolgiamo il nastro per comprenderla meglio, e in tutta la sua portata: l’Iran dal 1979 si struttura come una repubblica retta dagli Ayatollah sciiti. Questo significa che, alla vigilia di ogni elezione – che è libera – gli Ayatollah indicano il loro candidato e quel candidato riscuote fra la gente, che si fida degli Ayatollah, il massimo successo. E’ chiaro che in questo modo si struttura un ordine, dove la politica incarna alcune decisioni strategiche importanti, ma dove il grosso del potere è in mano all’alleanza tra Ayatollah ed esercito, esercito che – ricordiamolo – ha da tempo progetti ambiziosi di sviluppo di una propria bomba atomica, ordigno la cui piena realizzazione è prevista nell’arco dei prossimi 20-25 anni. Ovviamente un simile sistema crea una forza politica in medioriente senza pari: lo scopo deliberato del regime iraniano è l’eliminazione dello stato “sionista”, ossia Israele, e la lotta contro le forze occidentali che – con i loro costumi dissoluti – corrompono e pervertono l’Islam.

 

Le colpevoli ingenuità degli Stati Uniti

Fino all’inizio degli anni duemila la forza con cui contrapporsi al regime di Teheran erano i regimi Sunniti, strutture statali di osservanza islamica al cui vertice stavano comandanti o dittatori stabiliti dall’Occidente che arginavano le derive fondamentaliste iraniane e impedivano al mondo islamico di avere un’unica voce e di costruire le premesse per un vero e proprio scontro di civiltà. Poi venne l’11 settembre, la rappresaglia statunitense in Afghanistan e in Iraq – sotto la ferma condanna di Giovanni Paolo II che intravedeva in quelle mosse una pericolosa destabilizzazione del quadro mediorientale – e la nascita dell’ISIS, rinvigorita dalle primavere arabe che disarcionarono i dittatori dai regimi sunniti, lasciando intere regioni in balia dei fondamentalisti. Fu il caos. Si aprì la polveriera libica, dove oggi il Sultano di Ankara intende muovere per assicurare alla Turchia il controllo di tutti i gasdotti del Mediterraneo, si inasprirono le tensioni in Siria fino alla guerra che ancora oggi infiniti lutti adduce a una popolazione stremata e umiliata nella sua dignità, si riaprì – con forza – il fronte iraniano. Proprio questo fronte è oggi il più caldo.

 

La morte di Soleimani

Qassem Soleimani è dall’inizio degli anni duemila il leader più popolare del regime, amico degli Ayatollah e icona di un’intera generazione che vede in lui un Iran forte e deciso, ma anche attento e politicamente avveduto. In questi vent’anni Soleimani si è conquistato la fiducia dell’elettorato iraniano e in molti sostengono che fosse tra i nomi spendibili dal regime degli Ayatollah per un futuro cambio della guardia a Teheran. Dopo tutto la Repubblica sciita aveva davvero bisogno di un generale in questo frangente storico in cui le carte, con la presidenza di Donald Trump, sono completamente cambiate. Infatti se Bush e Obama avevano escluso (proprio a causa della sua popolarità) di uccidere Soleimani, responsabile della politica estera iraniana e delle numerose stragi ordite dall’Iran in questi vent’anni, essi avevano anche fatto in modo che si creassero le condizioni per una via pacifica alla risoluzione del conflitto. Fu soprattuto Obama a sorprendere tutti quando sospese le sanzioni internazionali al regime di Teheran e raggiunse con gli Ayatollah un accordo militare maldigerito da Israele. La politica con Trump è cambiata: l’inquilino della Casa Bianca è oggi sotto pressione delle potenti lobby sioniste che sostengono la sua presidenza e che ravvedono nel ritorno dell’antisemitismo una minaccia all’esistenza dello Stato di Israele. Per questo il Presidente ha mosso in medioriente numerosi atti sconsiderati: il riconoscimento implicito di Gerusalemme quale capitale di Israele con lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv e, ora, l’omicidio – tramite drone – di quel Qassem Soleimani che era il custode e il punto di incontro delle tradizioni e della forza dell’Iran, accusato (ovviamente non a torto) di essere tra i mandanti della pericolosa tentata incursione sciita nell’ambasciata americana a Baghdad.

 

Un pericoloso precedente

E proprio Baghdad sembra adesso essere il punto dolente: un omicidio di stato di un potente gerarca straniero, con un’influenza altissima su tutta la regione, in uno stato estero, straniero anch’esso, in un momento di particolare tensione in tutta la zona. Viene subito alla mente l’uccisione dell’erede al trono Austroungarico avvenuta a Sarajevo nel giugno del 1914 per mano di un anarchico ben armato da qualcuno. Fu l’inizio e la causa della prima guerra mondiale. Oggi l’anarchico non c’è, al suo posto un sofisticatissimo drone. Ma il risultato rischia di essere lo stesso, se non peggiore.