Confine di stato o di mentalità?

 

C’è un modo per attraversare la frontiera, per andare oltre il confine che sta tra Italia e Francia, un modo molto difficile e pericoloso. Viene chiamato “sentiero della morte”. Il perché? Perché tutte le persone che ci passano, lasciano la loro vita indietro per sperare in una migliore. 

 

Lungo il sentiero possiamo notare i resti di vite passate persone che magari in questo tratto hanno perso la vita o che magari sono riuscite ad andare oltre il confine. Quando si parla di resti su questo sentiero non si tratta di cadaveri umani ma di vestiti valigie, scarpe biancheria, documenti, portafogli spazzolini e tutto quello che può servire a una persona per vivere. Le persone che attraversano questo sentiero per arrivare in Francia più precisamente a Menton lo fanno per cercare una vita migliore e lasciano su questo tratto tutto ciò che non vogliono che gli appartenga più. Il sentiero in sé è molto pericoloso contratti impervi e molto difficili. Queste persone per evitare la polizia o comunque le forze dell’ordine percorrono questo tratto di notte quando il sentiero è ancora più difficile da attraversare dal momento che sono circa 5 ore di cammino. 

 

Ci sono dei segnali lungo la strada come in ogni sentiero di montagna che a magari alcuni di noi è capitato di percorrere per trekking o altro ma sono segnali particolari. Ci sono alcune persone che hanno cambiato i segnali che c’erano prima per far sbagliare strada alle persone che percorrono il sentiero. Quando sbagli strada puoi molto facilmente trovarti sull’orlo di un burrone e se è notte non vedi niente, un passo falso può costarti la vita. Infatti questo è costato la vita a molte persone per questo e altri motivi il sentiero è chiamato: “passo della morte”. 

Questo sentiero esisteva già ai tempi della seconda guerra mondiale e veniva utilizzato allora già dalle persone che volevano passare il confine senza essere catturate. 

 

Io personalmente quest’estate ho percorso questo sentiero che non è un tratto turistico infatti eravamo in gruppo ma non abbiamo incontrato nessuno perché le persone a volte tendono a stare lontane da ciò che non vogliono conoscere, o che magari conoscono ma non vogliono vedere. È una cosa che mi ha colpito di più è stata la mancanza d’acqua. Eravamo circa una ventina e dopo tre ore e mezza di cammino quasi tutti avevano finito l’acqua e ci restava ancora un pezzo di strada da fare. Abbiamo cercato aiuto in delle case ma nessuno ci ha risposto e continuando questo sentiero abbiamo potuto vedere delle ville con piscina e con gente che stava in acqua. 

 

Questa non si chiama crudeltà ma si chiama indifferenza, perché quello che chiedevamo non era tanto, se ci penso adesso è una cosa banale: una bottiglietta d’acqua, una fontanella. Invece proprio quando dai per scontato una cosa quella inizia a mancarti. Dunque ho pensato a questa povera gente che fa questo percorso magari sotto la luce della luna abbandonando tutto quello che ha e lasciandolo sul sentiero per poi arrivare dall’altra parte ed essere letteralmente nessuno. 

 

Queste persone che attraversano il confine in questo modo non hanno documenti, mi sono immaginata se solo tra loro ci fossero dei bambini, quanto male devono aver visto queste persone. 

 

Resta il fatto che questo sentiero è un sentiero vivo perché tu cammini e vedi ciò che la gente prima di te ha lasciato ma non lo ha fatto per ricordo bensì per necessità. Questo sentiero è vivo non perché ci sono ancora i maglioni e le valigie della gente che ci è passata ma perché ci sono passate delle vite e dal momento che noi non sappiamo come la loro esistenza sia andata avanti.

 

Noa Rocca