TORTURE/La tortura del bianco
Un colore così puro ed innocente come il bianco nelle mani sbagliate può trasformarsi in un’arma pericolosissima, che è in grado di creare traumi permanenti nella mente dell’uomo
Di cosa si tratta
La tortura della “stanza bianca”, o più comunemente chiamata del “bianco”, è una delle pratiche psicologiche più devastanti mai concepite nel campo delle torture. Si tratta di un metodo di reclusione estremamente deleterio dal punto di vista psicologico che, privando il detenuto di qualsiasi stimolo sensoriale, erode progressivamente la sua sanità mentale.
Il processo è tanto semplice quanto crudele: il prigioniero viene confinato in una stanza completamente bianca, priva di ombre e insonorizzata. Persino i suoi vestiti sono bianchi, così come il pasto che gli viene fornito – spesso riso bianco insapore.
La tortura del bianco rientra nella categoria delle cosi dette torture bianche, studiate per non lasciare tracce riscontrabili sulla vittima; infatti, a differenza delle altre, si affida a tencniche che non colpiscono direttamente il corpo del torturato, ma agiscono sulla psiche e sui sensi, causandone anche la totale perdita.
L’individuo, che è soggetto ad un totale isolamento, perde ogni concetto di sé e della propria identità personale e la stanza completamente bianca e silenziosa in cui viene rinchiuso può procurargli delle psicosi, come allucinazioni visive e uditive.
Dopo 48/70 ore il prigioniero inizia a soffrire di una dissociazione sia mentale che fisica (arti superiori e testa) e la sua percezione della realtà viene alterata.
Secondo diverse ONG, queste condizioni detentive sono progettate per annientare la volontà dei prigionieri, spingendoli persino al suicidio o a confessare crimini mai commessi. L’organizzazione Justice and Process ha denunciato che le condizioni imposte sono un mezzo per ottenere confessioni forzate e distruggere psicologicamente i detenuti.
Utilizzo nel mondo
Questo genere di tortura è stata praticata molto nel passato, se ne hanno riscontri in Iran ( nella prigione di Evin), Stati Uniti, Venezuela, Irlanda ed in Europa.
In Iran uno dei casi più noti è quello di Amir-Abbas Fakhravar, un oppositore politico sottoposto a questa forma di tortura per ben otto mesi nel 2004, su ordine del Corpo delle guardie della rivoluzione islamica.
Negli Stati Uniti, Amnesty International e altre organizzazioni per i diritti umani, come gli European Democratic Lawyers (EDL), hanno accusato il governo di aver utilizzato questa tecnica in strutture di detenzione segrete. Tuttavia, i dettagli su queste accuse rimangono scarsi, avvolti da un alone di mistero e negazioni ufficiali.
In Venezuela, il Servicio Bolivariano de Inteligencia Nacional (SEBIN) utilizza la tortura del bianco nei piani sotterranei del suo quartier generale, noti come “La Tumba” (“La Tomba”), a Caracas.
Ancor oggi purtroppo, in paesi come l’Iran ad esempio, viene praticata e il reato di tortura é accettato legalmente in molti stati, come in Turchia, Afghanistan, Somalia e Messico.
In Italia la tortura di qualsiasi genere é stata dichiarata illegale solo nel 1984 grazie alla ratificazione, con la legge n. 498/1988, dell’articolo n.3 della CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo), che prevede l’obbligo per gli stati di legiferare affinché qualsiasi atto di tortura venga espressamente contemplato come reato all’interno del proprio diritto penale (articolo 4).
Concludendo è inconcepibile l’idea che nel 2024 la tortura venga ancora usata come mezzo per estorcere confessioni e condannare gli imputati. Il principio del rispetto e della dignità umana dovrebbe essere ben consolidato e non un dibattito aperto. Sia la tortura fisica che quella psicologica hanno pari importanza ed entrambe recano danni permanenti e cicatrici che le vittime sopravvissute porteranno con loro per sempre, cambiando loro la vita in modo significativo ed irreversibile.
Giorgia Palazzo e Vera Arbocò